Nuovo capitolo di questo nostro viaggio alla riscoperta della grande saga di Tex Willer, il personaggio creato da Gian Luigi Bonelli e Aurelio Galleppini nel 1948 e che l’anno scorso ha festeggiato il settantesimo anniversario di presenza ininterrotta nelle edicole. Per questa serie di recensioni anno per anno della saga del ranger prendiamo in considerazione la numerazione della Seconda Serie Gigante, il cui primo numero risale al 1958, quella più venduta e amata dai lettori e che prosegue ancora oggi e che per quasi cento numeri ha riproposto le storie di Tex uscite negli albi a striscia dal 1948 fino alla fine degli anni ’60. Dopo un’annata non certamente esaltante come quella del 1973, benché tutt’altro che avara di belle storie, sia chiaro, il 1974 si apre con un racconto decisamente insolito!
Il fiore della morte è una breve storia disegnata da Guglielmo Letteri che si inserisce nel filone fantastico di Tex. Un meteorite precipita vicino ad un villaggio Hopi e da quel momento iniziano a verificarsi alcune strane morti per un caso che, in apparenza, ricorda molto da vicino quello de Il signore dell’abisso. Ma, come detto, solo in apparenza! Si tratta di un’avventura decisamente insolita per il nostro ranger: niente banditi, niente indiani ribelli, niente sceriffi corrotti, niente scienziati pazzi, niente megalomani, niente di niente. Dei quattro pards, l’unico a sparare è Carson e lo fa contro un misterioso riccio! Il resto della storia oscilla fra il thriller e l’esoterico con qualche spruzzata di fantascienza. Una miscela decisamente strana per Tex, impreziosita da una lunga parentesi alla fazenda del Morisco. Ricordo che alla prima lettura trovai la storia decisamente noiosa, oggi, con quasi quindici anni di più sul groppone, sono riuscito ad apprezzarla come merita. Non parliamo certo di un capolavoro, ma è comunque una storia di buon livello.
Discorso analogo per la successiva Il ritorno di Yama. E già, il vecchio Blacky Dickart non era certo andato a fondo con il suo veliero come si faceva pensare ne Il figlio di Mefisto. Il tenebroso negromante è sopravvissuto e si è rifugiato tra i Maya dove ha subito iniziato a tessere i suoi loschi intrighi. Disegnata da un Galep in buona forma, anche se non alle vette del precedente capitolo dedicato a Yama, questa storia è un buon lavoro che dimostra come GL Bonelli sia perfettamente avvezzo al genere fantastico, tipologia di storie che con il passare dei decenni si sono fatte decisamente più rare.
Purtroppo non tutto gira per il verso giusto e le analogie con Il figlio di Mefisto si fanno sentire e anche i colpi di scena, pochi, risultano troppo telefonati.
In definitiva, è lo stesso Yama a non avere il carisma del padre e questo si nota più o meno per tutta la durata della storia. Una storia, tra le altre cose, neanche particolarmente lunga e che accelera bruscamente nella seconda parte, quasi come se lo stesso Bonelli avesse gettato la spugna.
La successiva Apache Kid è invece ottima e si inserisce nel filone del Tex insolito che abbiamo visto anche ne Il fiore della morte. Apache Kid è una guida indiana che viene accusata di omicidio e Tex non riesce a riabilitare il giovane che si dà alla macchia e raduna un piccolo gruppo di guerrieri per dare inizio ad alcune razzie. La trama è particolarmente drammatica e vede un Tex incredibilmente passivo, vittima degli eventi e incapace di salvare Kid dalla propria triste fine. Eh sì, perché Apache Kid è un personaggio realmente esistito e Bonelli non se l’è sentita di modificarne la sorte. Tex non riesce a far cambiare idea ai giudici, non riesce a salvare Kid dalla trappola e non ne vendica la morte.
C’è uno scontro con un gruppo di comancheros che serve solo a dare un contentino al lettore. Tex, in questa storia, è del tutto ininfluente, se anche non ci fosse stato non sarebbe cambiato nulla. Niente da dire sui disegni di Erio Nicolò, decisamente in buona forma.
Altrettanto ottima, ma molto più tradizionale, la bellissima La notte degli assassini, un piccolo gioiello firmato da Giovanni Ticci, sempre su testi di GL Bonelli. Una tribù Dakota ha scoperto un ricco giacimento d’oro e il loro agente indiano decide di approfittarne lasciando morire di fame la tribù durante l’inverno per poi impossessarsi del giacimento. Per fortuna Tex e i suoi pards intervengono per porre fine alle sue malefatte e salvare gli indiani. Un’avventura neanche particolarmente lunga, ma ricca di dramma e d’azione, con Tex impegnato a salvare la tribù Dakota dall’avidità dell’uomo bianco. Si tratta di una storia completamente dalla parte degli indiani, così come Apache Kid, evidentemente figlia del revisionismo sfrenato che imperava all’epoca nel cinema western, anche se Tex ne era stato un precursore oltre vent’anni prima. A impreziosire il tutto, i pennelli di un Ticci sempre più indirizzato verso una maturazione grafica che avrebbe pienamente raggiunto solo alla fine del decennio, non prima, però, di aver fornito altre prove da manuale.
Altro giro, altra storia epocale. Oddio, epocale a posteriori. L’idolo di smeraldo non è particolarmente eccelsa, anzi, è una storiella breve, di circa un albo, che però si caratterizza per essere l’esordio di una futura colonna texiana come Fernando Fusco. Tex e Tiger Jack salvano la bella indiana Hanaba che ha rischiato di venire sacrificata dai selvaggi Hualpai. Gli indiani, particolarmente selvaggi, sono soliti sacrificare giovani vergini ad una sanguinaria divinità. Tex, Tiger e il figlio Kit entreranno in azione per salvarle.
Tex agisce quasi del tutto in solitaria, anche se contornato da un discreto numero di indiane vestite in maniera piuttosto provocante, in una storia non molto rilevante, ma caratterizzata dal fatto di rappresentare l’esordio di Fusco. Lo stesso Fusco deve ancora affinare il proprio stile, lontanissimo da quello che avrebbe raggiunto durante la maturità, ma già qui si notano i primi segnali di stile.
Sulle tracce di Tom Foster è una storia non molto amata dai lettori tradizionali, proprio perché si inserisce in quel filone, evidentemente caro a GL Bonelli, in cui il ranger non riesce a raggiungere lo scopo prefissato risultando quindi sconfitto. Tex e Carson vengono contattati dalla Pinkerton per ritrovare Tom Foster, un giovane uomo rapito dagli indiani vent’anni prima. La ricerca viene aiutata da una serie di fortunatissime coincidenze che possono avvenire solo in un fumetto, ma alla fine i nostri eroi finiscono sulla strada giusta. La storia mi è piaciuta, pur senza essere un capolavoro, grazie anche ad alcuni momenti topici (Tex che prende a cazzotti i cattivoni di turno e l’assedio dei comancheros) e al finale in cui il ranger riesce sì a sventare una guerra indiana, ma non a riportare Tom Foster dalla propria famiglia. E pazienza se ad alcuni lettori questo finale non è piaciuto. Bene i disegni di Erio Nicolò, altra colonna portante della serie. Ci risentiamo prossimamente con la recensione dell’annata 1975. Intanto se non lo avete ancora fatto potete leggere i resoconti delle annate precedenti:
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