TEX: 70 ANNI DI RECENSIONI: 1960

Scritto da Francesco Benati

7 Feb, 2018

Terzo capitolo di questo nostro viaggio alla riscoperta della grande saga di Tex Willer, il personaggio creato da Gian Luigi Bonelli e Aurelio Galleppini nel 1948 e che quest’anno festeggia il settantesimo anniversario di presenza ininterrotta nelle edicole.
Per questa serie di recensioni anno per anno della saga del ranger prendiamo in considerazione la numerazione della Seconda Serie Gigante, il cui primo numero risale al 1958, quella più venduta e amata dai lettori e che prosegue ancora oggi e che per quasi cento numeri ha riproposto le storie di Tex uscite negli albi a striscia dal 1948 fino alla fine degli anni ’60.
Siamo quindi arrivati al 1960 che è semplicemente un anno fondamentale per Tex.
Ad aprire l’annata ci pensa Il patto di sangue, una delle storie più famose del ranger in camicia gialla: Tex indaga su una banda atta al traffico illegale di armi con gli indiani. Catturato dai Navajos, per il nostro eroe si prospetta il palo della tortura, quand’ecco che all’ultimo momento interviene Lilyth, la bella figlia del capo Freccia Rossa che salva Tex proponendosi di sposarlo! In questo modo, l’eroe prende moglie e, a differenza di quanto preventivato da Bonelli stesso, quel semplicissimo escamotage (spoiler: Bonelli eliminerà Lilyth qualche tempo dopo scrivendo due righe secondo le quali sarebbe morta per epidemia) sarebbe rimasto impresso a lungo nella mente dei lettori e oggi è ormai leggenda.
Naturalmente la storia è ben più lunga e complessa di quanto ci si aspetti: Tex prosegue le indagini e scopre che a gestire il traffico d’armi è un certo Jerry Stone con la complicità della losca Bessie. Incastrato nuovamente per un crimine non commesso, Tex è costretto ad agire come un giustiziere mascherato.
L’avventure segue un po’ lo stile che aveva Bonelli in quel periodo in cui pubblicava Tex sugli albetti a striscia: trama un po’ sbilenca e sbilanciata e che si evolve un po’ a caso, seguendo gli umori dello sceneggiatore; per questo la trama generale risulta essere un po’ troppo diluita, ma non mancano le scene ad alto tasso di pathos, come quella del rapimento di Lilyth, la riunione con Carson e la nascita del mito di Aquila della Notte.
Particolarmente toccante, per me, è la scena in cui Tex lascia il villaggio Navajo e Lilyth gli domanda: “Tornerai, Tex?”
Al che, lui risponde: “Tornerò, Lilyth, e non solo per seppellire l’ascia di guerra”
Per me è palese che Tex, nonostante uno stupore iniziale, si sia pian piano innamorato di quell’indiana sconosciuta che ha rischiato la propria vita per salvarlo, in barba a chi ritiene che il ranger non sia altro che un freddo robot privo di sentimenti.
Alcuni aspetti di questa trama, come il futuro di Brennan e Teller, saranno sviluppati in seguito nella memorabile saga de Il giuramento, forse la storia più famosa di Tex.
Il patto di sangue non è certo un capolavoro, ma è la storia che più di tutte getta le basi per la leggenda che verrà. Niente da dire sui disegni di un Aurelio Galleppini sempre più in confidenza con il personaggio che fornisce un’ottima prova soprattutto nella parte finale durante l’assalto di Durango.
Chiuso un capitolo importante, se ne apre un altro: La banda dei Dalton è senz’altro un’altra storia molto bella caratterizzata da parecchie scene ad effetto. In primis, la vignettona d’apertura con gli avvisi di taglia dei vari membri dei Dalton; poi abbiamo la scena della bambina e della madre che finiscono sotto gli zoccoli dei cavalli (sbaglierò, ma in questa parte ci ho visto un’anticipazione di quel capolavoro che sarà Il mucchio selvaggio di Sam Peckinpah, uscito circa vent’anni dopo); c’è la comparsa di Tiger Jack, che qui è molto diverso da come verrà rappresentato successivamente: parla con i verbi all’infinito ed è abbigliato in modo più selvaggio rispetto al Tiger che conosciamo; c’è la bellissima scena in cui Tex e Tiger vengono sotterrati dai banditi e poi salvati da Dinamite; infine, la bella Eugenia Moore, complice dei Dalton, che si suicida per il rimorso, inseguita dalla voce fuori campo di Tex.
Ormai Occhio Cupo, il personaggio coetaneo di Tex e realizzato dai suoi stessi autori, è solo un lontano ricordo e Bonelli inizia a darci dentro sul serio e lo stesso fa Aurelio Galleppini, pur seguendo gli standard del periodo (fondali abbozzati e sintesi estrema del disegno).
Forse non parliamo di un capolavoro, ma di sicuro è un’avventura notevole ed è la prima in cui fa la sua comparsa la Storia con la S maiuscola: la banda dei Dalton è effettivamente esistita e i componenti erano proprio quelli. L’aspetto storico va a ramengo nel momento in cui interviene Tex, ma in fondo ci sta.
In questa storia apprendiamo subito della morte di Lilyth in un dialogo brevissimo fra Tex e Kit Carson. Bonelli non era un uomo da perdersi in smancerie inutili e poi dobbiamo considerare che all’epoca Tex veniva pubblicato in albetti di 32 pagine. Insomma, non c’era spazio per i lacrimoni.
Breve e bruttina la storia successiva, Il Dio Puma, dove Tex e Tiger Jack dovranno sgominare una tribù Yaqui che venera una divinità fantoccia, il tutto naturalmente a suon di pistolettate come se piovesse. Dimenticabile.
Leggermente meglio, ma siamo sempre su bassi livelli, Avventura sul Rio Grande, classica storia dove Tex deve liberare una città tenuta sotto scacco da una banda di tagliagole. Dovremo farci il callo, perché di avventure come questa ne vedremo a decine nel corso degli anni.
Ma ora basta parlare di storie mediocri, parliamo finalmente del primo, vero, grande capolavoro di Tex: Il tranello, una grande saga ambientata in Canada che vede la prima apparizione di due comprimari storici di Tex, ovvero il meticcio Gros-Jean e il futuro colonnello Jim Brandon, qui un semplice ufficiale di truppa.
 
Arkansas Joe, uno dei primi ranger apparso rapidamente in un paio di vignette del numero uno, è stato ucciso e i suoi assassini sono finiti in Canada. Kit Carson e gli altri ranger non li possono seguire, ma Tex, che non è più ranger, può farlo e si mette sulle tracce dei fuorilegge.
Per rendere memorabile questa storia basterebbe nominare solo la leggendaria battaglia di forte Kinder, un autentico capolavoro firmato da Aurelio Galleppini che con le sue matite riuscirà a dare corpo ad una battaglia violenta e senza quartiere, dove i morti si succedono a grappoli e dove l’epica la fa da padrone. La vicenda non si esaurisce però con la battaglia, bensì prosegue ancora perché non tutti gli assassini di Arkansas Joe sono stati presi. Il finale, con il rapimento del figlio di Tex ancora bambino, è leggermente sotto tono rispetto al resto della vicenda, ma si tratta di un piccolo particolare che non intacca di una cippa il valore di una storia che è ormai leggenda.
Questa avventura lunghissima (oltre 200 pagine, un romanzone per gli standard dell’epoca) è giustamente entrata nell’immaginario collettivo di tutti i texiani e stiamo parlando di un capolavoro indiscusso.
Fra le peculiarità da ricordare, è in questa storia che assistiamo finalmente all’incontro fra tutti e quattro i pards, anche se Kit Willer è ancora bambino. In alcune vignette viene chiamato Kid invece che Kit e io non ho mai capito se si tratti di un errore di lettering o del fatto che GL Bonelli non sapesse che nome dare al pargolo. Non ho idea se la cosa sia stata corretta nelle ristampe successive.
Si tratta anche dell’ultima storia in cui compare Marshall, l’uomo a capo dei rangers e non è ben chiaro che fine abbia fatto. La versione ufficiale è che si sia ritirato, ma al sottoscritto piacerebbe rivederlo in un’ultima storia. Sempre qui, veniamo a sapere cosa sia capitato a Lilyth, morta in seguito a un’epidemia. La vera versione dei fatti la sapremo solo parecchio tempo dopo.
La successiva L’impronta misteriosa non è altro che un mero riempitivo, peraltro sempre ambientato in Canada, che vede Tex e Gros-Jean impegnati a sgominare la Banda dell’Orso. Debole e senza particolari ambizioni, oggi risulterebbe quasi grottesca, ma non mancano alcuni particolari ben riusciti come il trabocchetto nascosto nel pavimento e la presenza del cane Star, che però ci lascerà le penne dopo poche pagine.
Chiudiamo con un’ultima storia memorabile: Il figlio di Tex, che inizia nell’albo numero 12 e termina alla fine del 13, andando quindi a sforare nel 1961. Grande storia in cui viene presentato un altro classico GL bonelliano, ovvero il sabotaggio alle compagnie ferroviarie, che qui Bonelli descrive come portatrici di progresso e futuro. A tentare di sabotare la ferrovia è il losco Grosby che utilizza tutti i metodi a sua disposizione per bloccare la costruzione dei binari, dai desperados agli Apache, ma tutto sarà vano contro il piombo rovente di Tex e soci.
Tutta la prima parte è praticamente dedicata a Kit Willer. Lo vediamo mentre apprende dal padre i trucchi per sparare veloce e del mezzo che utilizza per abbandonare il villaggio Navajo semplicemente esilarante (non faccio spoiler per chi non lo avesse letto o se lo fosse dimenticato), mentre altrettanto divertente è la scena in cui Tex gli ordina di restare in camera durante una sparatoria, ma il ragazzo disubbidisce, prende il fucile e aiuta il padre, poi tenta di dissimulare la cosa. Geniale la battuta di Tex che afferma: “Non so da chi abbia preso. E pensare che sua madre era così dolce…”
Kit Willer è qui un giovane scavezzacollo molto simile al padre dei primi numeri, che qui inizia già ad essere leggermente più calmo e riflessivo, anche se questa caratteristica verrà accentuata nei numeri successivi. Secondo i dettami di GL Bonelli, però, nessuno può fare ombra a Tex e quindi anche l’esuberante Kit Willer, che qui ruba la scena al padre, viene ben presto fatto rientrare nei ranghi.
Questa storia ha la particolarità di essere sostanzialmente l’ultima della continuity che fino a quel momento aveva imperato su Tex. Per dire, tra Il patto di sangue e Il tranello ci sono alcuni anni, mentre tra Il tranello e Il figlio di Tex almeno una decina. Da qui in poi si può dire che tutte le storie saranno in tempo reale.
Ci risentiamo al prossimo appuntamento con il 1961.
Qui potete leggere le recensioni degli anni precedenti:
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