Quarto capitolo di questo nostro viaggio alla riscoperta della grande saga di Tex Willer, il personaggio creato da Gian Luigi Bonelli e Aurelio Galleppini nel 1948 e che quest’anno festeggia il settantesimo anniversario di presenza ininterrotta nelle edicole.
Per questa serie di recensioni anno per anno della saga del ranger prendiamo in considerazione la numerazione della Seconda Serie Gigante, il cui primo numero risale al 1958, quella più venduta e amata dai lettori e che prosegue ancora oggi e che per quasi cento numeri ha riproposto le storie di Tex uscite negli albi a striscia dal 1948 fino alla fine degli anni ’60.
Siamo quindi arrivati al 1961, che, per la cronaca, è l’ultimo anno in cui Tex è bimestrale, in quanto dal 1962 inizierà la cadenza mensile che lo accompagna ancora oggi.
L’anno vede finire la storia Il figlio di Tex, ampiamente dibattuta già nel precedente volume, e presenta invece la bella Dramma a Pecos City. Solita storia in cui Tex deve ripulire la città dai criminali, canovaccio utilizzato infinite volte con variazioni minime. Qui le variazioni sono Tex che diventa sceriffo della città per avere totale mano libera (non che il ranger si sarebbe fatto scrupoli comunque, ma si vede che GL Bonelli voleva istituzionalizzarlo un po’) e la presenza del figlio Kit Willer. Altro particolare della storia è che essa si riaggancia direttamente a quella precedente e va a formare un piccolo ciclo di alcune avventure in cui Tex fa compiere al figlio una specie di viaggio di iniziazione alla vita adulta. Ritroviamo anche la particolare giustizia divina che colpisce certi personaggi particolarmente meschini. Nella bellissima La banda dei Dalton, c’era la bella Eugenia Moore, qui abbiamo il giudice Vermont, il quale in realtà è dalla parte dei criminali e muore avvolto dalle fiamme mentre risuona la sua risata folle. Non un capolavoro, ma una bella storia che si legge con piacere. Sempre sul pezzo il segno di Galep, il quale si sta avviando verso una maturazione che vedremo solo fra qualche decina di numeri.
Segue La gola segreta, storiella di poche decine di pagine senza alcuna ambizione che si inserisce nel filone più fantasioso di Tex. Va detto che il GL Bonelli dei primi anni era solito inserire questo tipo di vicende abbastanza spesso tra una avventura western e l’altra, proprio per evitare che lo stesso canovaccio, puntualmente ripetuto, venisse presentato troppo spesso. Le figure dei banditi sono inconsistenti e l’unico personaggio di un certo rilievo, la Donna Pantera, compare per troppo poco tempo per essere pienamente sviluppato. Diciamo che già all’epoca delle pubblicazioni a striscia vigeva la chiusura obbligatoria, ovvero una storia doveva concludersi alla fine dell’albetto, esattamente come capita oggi. In questo caso abbiamo una ghigliottina che si abbatte sulla vicenda proprio nelle vignette finali. Peculiarità di questa storia è che Tex insegna al figlio alcuni trucchetti come leggere le tracce e altre amenità.
Segue invece una storia bruttarella, La corona dei sette smeraldi, una cinquantina di pagine abbastanza inconsistenti con Tex e Kit impegnati a recuperare una preziosa reliquia rubata a un convento di frati. Su questa storia c’è pochissimo da dire se non che si conclude con una scena che a leggerla oggi qualcuno griderebbe scandalizzato al buonismo: Tex lascia andare liberi due dei banditi che avevano partecipato al furto della reliquia, probabilmente per insegnare il perdono cristiano a Kit.
Altra storia breve, ma decisamente migliore, La montagna misteriosa, la quale presenta nuovamente una civiltà perduta, quella dei Figli del Sole che governa in maniera dispotica su una massa di schiavi Pima. Tex e Kit vi si imbattono e, come sempre, scoppia il macello. Niente di esaltante, sia chiaro, ma una storia che si lascia leggere con piacere e con un Galep decisamente in forma. Si tratta dell’ultima storia di questo mini ciclo di Tex e Kit in viaggio per il sudovest.
Finalmente, dopo qualche storiella di poco conto, ecco che ritornano le grandi avventure: Il fuoco è senza dubbio una storia importantissima di Tex, in quanto è qui che il nostro eroe diventa in tutto e per tutto capo dei Navajos. Con Freccia Rossa morente, Tex parte per andare in soccorso di una donna amica di Kit Carson. Saputo da Kit Willer e Tiger Jack della morte del suocero, Tex ritorna e dopo un drammatico funerale assume la guida di capo delle tribù Navajos. Certo, se a questa storia si toglie tutto il contorno non rimane altro che la classica vicenda del grosso ranchero che vuole spadroneggiare su tutto il territorio. Purtroppo non tutte le ciambelle riescono con il buco e se da un lato abbiamo tante sparatorie, scazzottate e anche un leggero feeling (mai sviluppato, ovviamente) tra Tex e la bella Nellie Delaney, dall’altro abbiamo alcune cose che non tornano: il funerale di Freccia Rossa è sicuramente bello da leggere, ma si inserisce nel bel mezzo di una vicenda che parla di tutt’altro e alla fine risulta posticcio. Altro aspetto di cui non mi sono accorto a prima lettura: Redmond, l’ex soprastante di Nellie in realtà in combutta con il suo rivale, sparisce senza lasciare traccia. Presumibilmente muore nella battaglia finale, ma non si vede mai che fine fa. Questo è senza dubbio uno dei difetti principali del GL Bonelli di allora, il quale scriveva di getto, seguendo solo un vaghissimo canovaccio. Altro difetto non da poco: un finale troncato con l’accetta.
Aldilà di questi problemi non indifferenti, la storia è senza dubbio molto bella.
Altra storia molto bella è la seguente L’enigma dell’ippocampo, anche se, letta con il senno di poi, contiene un problema grosso come una casa. Ne parleremo in seguito.
Tex, Kit Willer e Carson (che nella storia precedente non compare e che qui ritroviamo come maggiore dei ranger) sono impegnati a sgominare una banda di vigilantes che terrorizza i territori a nord del Rio Grande che utilizzando l’ippocampo come simbolo di riconoscimento. In realtà, questa banda è guidata da Manuela Guzman e ha come obiettivo quello di riportare quei territori sotto il dominio del Messico (altro canovaccio abbastanza sfruttato nella saga texiana, anche se finora era apparso solo di striscio). Inizialmente Manuela Guzman ci viene presentata come la classica banditessa che spadroneggia sulla banda con metodi tirannici. A un certo punto, invece, ecco il colpo di scena: Manuela non è una criminale qualsiasi, bensì una fervente patriota che lotta per una causa in cui crede fermamente. Anche qui ritroviamo lo stesso difetto di altre storie di GL Bonelli, le quali partono in una direzione e poi ne prendono un’altra all’improvviso, disorientando il lettore. Come detto molte altre volte, è palese l’influenza della scrittura a feuilleton tipica di Alexandre Dumas e altri autori molto amati da Bonelli.
La bella Manuela, vistasi scoperta, è costretta a fuggire nel deserto con il bandito, questo sì senza scrupolo alcuno, El Lobo, il quale non esita a un certo punto a scaricarla facendola morire. Un finale sicuramente tragico per un personaggio di notevole carisma. C’è poco da fare: un antagonista ben caratterizzato come Manuela Guzman si mangia dieci buoni.
Va detto che le donne in Tex sono rare, anche se in questi primi numeri ce n’è sempre qualcuna, ma quasi tutte lasciano il segno grazie alla loro personalità e alle loro azioni. Manuela Guzman è una di queste e confesso che alla fine ho sperato molto in un ripensamento da parte di Bonelli, in un perdono in extremis, magari con conseguente arresto. Insomma, che non morisse. E invece pazienza.
Risolta la complicata matassa con i messicani, però, per Tex e i suoi pards i guai non sono finiti, anzi, all’orizzonte se ne profila uno ancora più grosso: la Guerra di Secessione americana.
Ed ecco qui il problema di cui parlavamo in precedenza: un anacronismo enorme, in quanto alcuni anni dopo lo stesso Bonelli avrebbe scritto una storia, Tra due bandiere, in cui Tex racconta la propria partecipazione alla guerra tra nord e sud e la piazza in un periodo in cui il figlio non era ancora nato! Mentre qui invece non solo è nato, ma la vive in prima persona!
Naturalmente a Bonelli di essere coerente non gliene frega nulla. Ricordiamo che questa storia è stata scritta negli anni ’50, quando lui di certo non si sarebbe aspettato che Tex sarebbe vissuto così tanto tempo e neppure che oggi, nel 2018, saremmo ancora qui a parlarne.
Finora abbiamo visto solo storie mediocri o belle, al massimo molto belle ed ecco che in chiusura abbiamo un vero capolavoro: Gli sciacalli del Kansas è una storia sensazionale, scritta benissimo da un GL Bonelli estremamente ispirato e graziata dai disegni di un Galep davvero in ottima forma.
Il perfido e losco Sterling, noto come Lupo Bianco, è un traditore che manda le carovane di pionieri a morire fra le braccia degli indiani Pawnee. Le carovane vengono depredate e il bottino viene spartito fra i ricconi di Dodge City. A difendere i pionieri ci pensano Tex e Carson, mentre Kit Willer, che nel frattempo è divenuto un ranger (particolare di cui praticamente tutti i successivi autori di Tex sembrano essersi dimenticati), va in cerca di aiuto.
Leggendaria la lunga parte centrale della storia che racconta la battaglia fra i coloni e gli indiani Pawnee, caratterizzata dai bellissimi disegni di Galep, in talune circostanze sostituito da Lino Jeva, e dalla grande inventiva di GL Bonelli, il quale tesse una partita a scacchi che tiene con il fiato sospeso. Certo, alla fine si sa che Tex e Carson non possono morire, ma Bonelli è bravissimo a tenere alta la tensione fino alla fine.
Il finale è leggermente sotto tono, ma si mantiene comunque su alti livelli. Decisi a porre fine alle malefatte della cricca che specula sulle carovane, Tex, Carson e Kit arrivano a Dodge City e fanno pulizia.
Emblematica la fine di Sterling, torturato dai Pawnee perché costoro credono che lui li abbia traditi. In realtà non è così, si tratta di un tranello organizzato da Tex per impedire che lo spietato Lupo Bianco gli sfugga.
Anacronismi a parte, questa storia è sicuramente da annoverare fra i capolavori dei primi cinquanta numeri della saga.
Ci rivediamo alla prossima con il 1962.
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