Nata nel 1994, Elisa Beli Borrelli (in arte Duebì) è diplomata all’Accademia di belle arti di Torino. Nel 2014, ha illustrato un breve racconto per l’antologia Novel (Eris Edizioni). Un anno dopo, ha curato la veste grafica per L’incontro – Storie e ricordi di vita di un sinto piemontese diGiovanni Cena (Alzani Editore). Nel 2018, per i tipi del Beccogiallo, è uscito I segreti di David Lynch, scritto da Matteo Marino e illustrato da lei. Alla casa editrice padovana ha affidato il suo debutto da autrice completa, La chiamata, tra i titoli in pole per il premio Boscarato e vincitore dell’edizione 2019 di Fumetto? LoAmo!
Ancora per Beccogiallo è stata comic book artist de I Pinguini Tattici Nucleari a Fumetti. Nel 2020 è entrata come colorista nella fucina di Lyon. Storie del mistero, un libro per ragazzi targato Salani che è a tutt’oggi in cima alle classifiche di vendita.
Vive a Dublino, dove lavora come 2D designer per Brown Bag Films.
Intervista a Elisa Duebì (Beli Borrelli)
di Chiara Cvetaeva
Si può leggere Elisa Beli Borrelli a un’unica condizione: essere forti di stomaco.
Esistono immagini di rara perfezione, con una densità espressiva tale, da rendere inutile, se non addirittura inopportuno, il ricorso a qualsiasi precisazione verbale.
È quanto succede davanti a una tavola di Elisa: l’occhio coglie un segno grafico e subito il cervello ne desume una storia, di cui ricostruisce senza fatica il prologo, l’azione e l’epilogo. Il disegno di Elisa ha il dono della trasparenza: lo guardi, lo capisci e ne esci squassato.
Squassato, esatto, perché l’autrice padroneggia soprattutto un codice: quello con cui si esprime la sofferenza, e nei suoi racconti illustrati, come nelle sue illustrazioni “parlanti”, i corpi si squarciano non meno delle anime. Che Elisa possa suscitare nel lettore sentimenti e reazioni d’ogni sorta, fuorché l’indifferenza, è dimostrato dalla polemica (a tratti demenziale) infiammata da una tavola pubblicata il 7 novembre scorso sui suoi canali social: vi si mostrava il primo rapporto sessuale di una ragazza, evidentemente non troppo convinta del fatto suo, né della bontà delle proprie scelte. A titolo personale, posso dire che Elisa mi piace proprio per questo: perché è profondamente disturbante, ma non lo è mai in modo gratuito. Anzi, la delicatezza, il candore quasi infantile (e molto eisneriano) del suo tratto sono una prova bastevole della sua “innocenza” e della sua buona fede. Anche quando ritrae soggetti e ambienti di un certo squallore (per esempio, una ragazza in pieno disfacimento casalingo da lockdown, con le pantofole scalcagnate e le gambe fitte di peli superflui), in Elisa si indovina una tenerezza che è insita nell’occhio con cui guarda e nella mano con cui disegna.
Così è nella sua prima opera da autrice completa, La chiamata, edita da Beccogiallo nel 2018 e già convincente, quantunque la Duebì (classe 1994), all’epoca dei fatti avesse appena 24 primavere. Anche volendo fare la tara a quest’opera prima, il peso netto rimane consistente.
La storia è presto detta: Nelia è una giovane donna dai trascorsi dolorosi, che vive male la propria vita, prende male le proprie scelte e tratta male il proprio corpo, incidendolo con tagli profondi, con cui forse spera – da cattivo medico di se stessa – di praticarsi salassi purificatori, che facciano sgorgare via il Male che la abita dal di dentro. Elisa non “costruisce” un racconto: si lancia in un montaggio spericolato, che dà allo svolgimento un ritmo sincopato e frastornante, punteggiato da intuizioni visive grandiose. Partiamo dalla scelta della tricromia: al fianco del bianco e del nero, un rosso vermiglio che richiama espressamente quel sangue di cui si intride la quotidianità della protagonista. O ancora, consideriamo i balloon, che a tratti si frantumano come specchi in cui non ci si vuol guardare, o come lenti rotte da cui non si può e non si vuole vedere. E veniamo, infine, alle didascalie, che in certe pagine si obliterano al centro, sino a somigliare a vecchie lame di rasoio ormai inservibili.
Da La chiamata sono trascorsi poco più di due anni, ma per Elisa sono stati sufficienti a mettere insieme un portfolio di considerevole spessore.
Operazione nostalgia: come valuti, in retrospettiva, il lavoro sin qui svolto e le scelte fatte?
Sono fiera essenzialmente di una cosa: mi sono fatta un mazzo tanto, mi faccio sempre un mazzo tanto. Uso quest’espressione gergale, incisiva, perché sia chiaro che questo non è un mestiere semplice e che le porte in faccia da prendere sono tante.
A parte questo, com’è prevedibile, provo per lo più fastidio verso tutto quello che ho fatto che sia più vecchio di un paio di mesi, ma è anche vero che è parte di me.
Tengo gli occhi puntati su ciò che ha da venire, ciò che è stato mi sorregge.
Sui social sei “moderatamente attiva”. Credi che per un autore ai primordi siano una efficace rampa di lancio o che nascondino più insidie che risorse?
Sui social credo che la cosa peggiore che succede, e non che può succedere, sia il maturare una percezione molto distorta delle cose – fatto che ha un impatto enorme sulla politica e sul lavoro. Usarli può servire a qualcosa – un qualcosa che metto a fuoco a fatica – ma questi meccanismi sono insidiosi e soprattutto tossici per la salute mentale. Penso si vivrebbe meglio senza, solo che ormai fanno parte della realtà condivisa, per cui non ho una risposta che valga per chiunque non sia io.
Ti piacciono questi rapporti ravvicinati che i social consentono tra autori e pubblico? Oppure credi che sia meglio non conoscere mai i propri beniamini troppo da vicino?
Penso che idealizziamo più intensamente le persone che amiamo (per qualunque ragione le amiamo), e amare significa anche imparare a fare i conti con il guardare qualcuno da vicino, che quindi spesso e volentieri ci deluderà. Talvolta a torto, talvolta a ragione.
Sei giovane, sei donna, e non sei certo un’autrice “ad alta digeribilità”. In qualsiasi settore questi tre punti costituirebbero uno svantaggio, quasi un handicap di partenza. È così anche nel fumetto?
Così va nella società, conseguentemente è così anche nel fumetto. Essere una donna non-binary, inoltre, di certo non aiuta ulteriormente, se pensi al dibattito che ha avuto luogo in questi giorni sulle questioni di genere.
Fammi sognare. Dimmi che hai in cantiere altri progetti da autrice completa.
Mi limiterò a suggerire che è molto difficile che io resti a lungo con le mani in mano. Il resto si vedrà.
Grazie per la tua generosa disponibilità. Se ne hai voglia, puoi concludere dicendo qualcosa di sinistra.
Le parole sono importanti; ti ringrazio per quelle che mi hai dedicato.
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