Da pochissimo è sbarcato in edicola Monument Valley, il nuovo mensile di Zagor edito dalla Sergio Bonelli Editore. Pur essendo giunto in edicola negli ultimissimi giorni del 2018, nei crediti è giustamente indicato come albo di gennaio 2019. Ai testi troviamo il curatore della serie Moreno Burattini e ai disegni il serbo Bane Kerac, qui alla sua seconda prova con lo Spirito con la Scure e al suo debutto ufficiale sulla serie mensile.
Dopo il mediocre albo Lacrime nere di Luigi Mignacco e dei fratelli Gaspare e Gaetano Cassaro (mediocre non per il buon soggetto di Mignacco, ma per la pessima resa dei due fratelli ai disegni), è giunto il momento di tirare un po’ a lucido la serie regolare e riportarla ai buoni livelli dell’annata appena trascorsa, un’annata forse ancora migliore del 2017 nonostante un paio di passi falsi che si potevano evitare. Il 2018 ha visto, fra le proprie punte di diamante, tre buone storie del mensile (Il ritorno di Blondie, Furia cieca e Ombre sulla Golden Baby), altrettante sui Maxi e, soprattutto, un Color Zagor, La giustizia di Wandering Fitzy, che è meritatamente entrato nel podio dei migliori albi Bonelli dell’anno scorso nella classifica di fine anno pubblicata da questo blog e che ha visti riuniti i principali redattori ed esperti più un nutrito numero di utenti.
Monument Valley – Zagor 642
Soggetto e sceneggiatura: Moreno Burattini
Disegni: Bane Kerac
Copertina: Alessandro Piccinelli
Logico quindi aspettarsi un anno altrettanto buono e le anticipazioni sembrano propendere per questa idea. Al curatore Burattini, dopo un anno trascorso quasi dietro le quinte, se si esclude la già citata Furia cieca, spetta la parte del leone specialmente grazie a questa storia-fiume di ben tre albi e mezzo, una saga che non si vedeva su Zagor da alcuni anni.
L’albo è strutturato in quattro parti: si apre con un prologo ambientato alla base di Altrove con Edgar Allan Poe, alias agente Raven (e se siete stupiti vuol dire che vi siete persi un discreto numero di storie zagoriane), inizio particolarmente curioso che denota già una novità del tutto inedita per la serie (dopo ne parlerò più dettagliatamente); inizia il racconto vero e proprio con Zagor e Cico che salvano Angus McFly, superstite di una carovana assalita dagli indiani; poi parte l’adattamento a fumetti di Agorà con Rachel Weisz (non scherzo); l’albo si chiude con Zagor, Cico e Angus in fuga dagli Apache.
Dunque, solitamente le avventure di Zagor si svolgono in presa diretta, oppure, in rarissimi casi, esse sono narrate dallo stesso protagonista ai suoi amici. Un esempio su tutte, la celeberrima Zagor racconta di Guido Nolitta, nome d’arte di Sergio Bonelli quando smetteva i panni dell’editore per dedicarsi alle sceneggiature, e Gallieno Ferri, i due creatori del personaggio.
Ecco, questa storia invece altro non è se non il lungo rapporto che Edgar Allan Poe/Raven fa ai suoi superiori della base di Altrove. In altre parole, questa storia è già avvenuta e quello che noi vediamo dipanarsi lungo le pagine dell’albo altro non è che il resoconto ad opera di Poe. Un escamotage inedito su Zagor che ritroveremo anche nel Maxi di gennaio che riprenderà lo stile dei racconti brevi tipico de I racconti di Darkwood del 2017 del quale recupera il titolo.
La parte in cui Zagor e Cico salvano Angus fila liscia come l’olio, mentre si incricca un po’ nel lungo flashback in cui Angus spiega i dettagli della spedizione e assistiamo ad Agorà con Rachel Weisz (la quale è molto, ma molto più bella di quella disegnata da Kerac, tocca dirlo).
I detrattori accaniti di Burattini sono già pronti con la bambolina voodoo e con le tecniche della macumba per questo immenso ‘spiegone’ che occupa un terzo abbondante dell’albo e anche io ammetto che in più di un passaggio mi sono chiesto il perché di una simile lungaggine. Dopo una breve riflessione mi sono detto che questi flashback, entro certi limiti, oltre ad essere inevitabili per il passaggio di informazioni da scrittore a lettore in modo da fargli comprendere appieno la vicenda, è sempre meglio metterli all’inizio del racconto invece che verso la fine quando invece è necessario mantenere alta la tensione. Questo enorme flashback, per quanto decisamente lungo, alla fine risulta molto utile a Burattini sia per introdurre tutti gli elementi necessari per capire la storia, sia per far rilassare il lettore in attesa della scena d’azione che lo segue.
Scena d’azione ben raccontata sulla quale non c’è nulla da dire, se non che è raccontata benissimo e disegnata ancora meglio.
A tal proposito, i disegni di Bane Kerac non fanno rimpiangere quelli del Color Il passato di Guitar Jim da lui realizzato nel 2015. La storia in questione ha avuto una lunga gestazione per via della lentezza del disegnatore serbo, ma a un primo sguardo sembra che tale lentezza sia stata ripagata da un ottimo lavoro. La resa finale del volto dello Spirito con la Scure è abbastanza vicina al modello tradizionale di Gallieno Ferri pur discostandosene ove serve.
Kerac ha occasione di dare il meglio di se proprio nella già citata parte finale ambientata nell’oscurità delle grotte dove ha modo di sfogare il suo bianco e nero, mentre la parte in linea chiara, anzi chiarissima, adottata durante il flashback con Ipazia, sembra soffrire un po’ e la resa finale non è delle migliori.
A proposito, questo albo della serie regolare si riallaccia alla trilogia di Maxi Zagor visti nel 2018 che comprendevano un’unica grande trasferta del nostro eroe prima nei territori del nord, poi nello Yukon e, infine, in California.
Ci si chiedeva come avrebbe fatto Burattini a raccontare sul mensile il finale di una trasferta avvenuta sui Maxi e, alla fine della fiera, l’escamotage utilizzato è piuttosto ovvio, ma l’aver diviso la saga in tre volumi pubblicati a distanza di quattro mesi l’uno dall’altro non è stata proprio un’idea vincente (mentre tutte le storie sono state ottime, sia chiaro), soprattutto in virtù di un collegamento fra le due collane che risulta un po’ posticcio, benché inevitabile.
Alla fine si tratta di un difetto tutto sommato trascurabile che non va a toccare la bontà dei tre Maxi dell’anno scorso e, soprattutto, non lede di un millimetro la qualità di questo primo albo che, al netto di un flashback un po’ troppo lungo, riesce in toto nel proprio intento.
In definitiva, siamo di fronte a un buon albo introduttivo che serve a preparare la scacchiera e a posizionare buona parte delle pedine e a suggerire quale potrebbe essere il tono generale della vicenda, un’avventura in salsa western che, per la presenza iniziale di Altrove e per alcuni particolari del racconto di Angus, potrebbe presto o tardi virare in un’altra direzione e dare vita a quelle affascinanti miscele di realistico e fantastico che da sempre caratterizzano la saga di Zagor.
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