Con I vigliacchi e gli eroi si conclude la storia di Tex iniziata nel numero scorso con L’assedio di Mezcali. Trattasi di un racconto diviso in due albi che ha visto il ritorno sulla serie regolare di Claudio Nizzi, il celebre sceneggiatore modenese che ha praticamente retto le redini della serie per trent’anni esatti, cioè dal 1983 al 2013, anno in cui uscì la sua ultima storia per il mensile. A coadiuvarlo ai disegni troviamo Lucio Filippucci, anche lui veterano texiano con diverse storie all’attivo su varie collane dedicate al ranger.
I vigliacchi e gli eroi – Tex n.711
Soggetto e sceneggiatura: Claudio Nizzi
Disegni: Lucio Filippucci
Copertina: Claudio Villa
Riassunto dell’episodio precedente: gli indiani Apache sono in rivolta e un nutrito gruppo di personaggi si rifugia nella stazione di posta di Mezcali per resistere all’assedio. Fra loro ci sono anche Tex e Carson, ai quali spetta il compito di guidare la resistenza. Ma, spesso, il nemico più subdolo è quello interno.
Ammettiamolo: nel genere western non si inventa più nulla. Centinaia di film e migliaia di fumetti, non solo Tex, quindi, hanno letteralmente saccheggiato ogni idea possibile, al punto che ai poveri autori che oggi si cimentano con il genere non restano che due strade: effettuare un dichiarato remake di vecchi lavori (vedi il caso di film come Quel treno per Yuma o I magnifici sette, tutti remake di opere precedenti), oppure proporre ugualmente una storia con la consapevolezza che i vari elementi saranno tutti più o meno riconducibili a questa o a quell’altra opera.
Perché questo preambolo in apparenza ovvio e superfluo?
Semplicemente perché Nizzi ha azzardato persino un auto-remake sulla falsariga di Howard Hawks che realizzo tre volte lo stesso film (per la cronaca, parlo di Un dollaro d’onore). Il remake in questo caso è quello de I diavoli rossi, storia uscita a fine anni ’80 per i disegni di Aurelio Galleppini, già in fase calante, ma ancora in grado di fornire ottime prove. La storia, a sua volta, è una versione a fumetti di Ombre rosse, il leggendario film di John Ford del 1939, autentica pietra miliare del genere e omaggiata in ogni modo possibile.
Con L’assedio di Mezcali, Nizzi ha ripreso sostanzialmente gli stessi schemi de I diavoli rossi e li ha riproposti con le minime differenze.
Ci sono quindi due modi di valutare questa storia:
- Come una storia di Tex e basta.
- Come un remake de I diavoli rossi.
Nel caso numero 1, Nizzi scrive una storia onesta, senza infamia e senza lode ancorata saldamente ai dettami del western più classico e incontaminato, ma lo fa senza metterci in mezzo nessun guizzo, nessuna trovata, nessuna traccia di inventiva. Più che il ritorno in scena del vecchio leone, insomma, sembra l’ennesima storia di un autore ormai stanco e privo di stimoli.
E il problema grosso risiede proprio nel secondo albo, visto che il primo era partito bene e mi aveva persino fatto gridare al piccolo miracolo (vedere la mia recensione per credere): la conclusione è debole e anche l’unico vero colpo di scena della storia viene servito in maniera così blanda che non lascia il segno.
Aggiungiamoci dei dialoghi un po’ appannati e un piano di Carson abbastanza lacunoso e abbiamo il quadro completo.
Resta il piacere di aver potuto leggere una storia di puro western vecchia scuola.
Se invece la vediamo come nel caso numero 2, il confronto è impietoso.
Ne I diavoli rossi avevamo un Nizzi nel pieno della forma coadiuvato ai disegni da sua maestà Aurelio Galleppini, nientemeno che il creatore grafico di Tex in persona. Che sarà stato pure in fase calante, ma era ancora in buona forma. Ma, aldilà dei disegni, è proprio il discorso sceneggiatura che mostra l’abisso: ne I diavoli rossi c’era pathos, c’era emozione, c’era dramma. Ne I vigliacchi e gli eroi questi elementi sono ridotti al lumicino e sembrano scritti con il pilota automatico.
Ma, visto che ciò che conta di più è il punto 1, parliamo di ciò che rende davvero onore a questa storia, ovvero i disegni di Lucio Filippucci.
Calato appieno nella realtà del racconto, Filippucci dà il meglio nelle lunghe sequenze destinate alla battaglia, facendo quanto più possibile per tenere in piedi la bandiera della tensione. Diciamo che i suoi disegni sono ciò che permettono alla storia di lievitare e di garantirsi la sufficienza.
Peccato, perché le premesse per una bella conclusione c’erano tutte.
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