La grande corsa – Maxi Tex 22
Soggetto e sceneggiatura: Pasquale Ruju
Disegni: Roberto Diso
Copertina: Claudio Villa
Siamo di fronte ad un albo molto particolare che ha fatto discutere da prima della sua uscita e per questo ne parliamo ad ormai tre settimane dal debutto in edicola. Perché si tratta di un volume (il termine balenottero usato in casa Bonelli è quanto di più brutto si potesse pensare) che contiene un elemento decisamente scottante e che quindi va assimilato con pazienza.
Partiamo subito dalla cosa che più mi ha entusiasmato dell’intero albo: la sceneggiatura di Pasquale Ruju. Avevo lasciato il buon Ruju con l’amaro in bocca dopo la sua ultima prova, non del tutto riuscita, sulla serie regolare, per cui ero curioso di sapere se quella storia fosse stata solo un passo falso e non invece indizio di qualcosa di più serio. Ebbene, dopo questa storia (e dopo quella del mensile di cui parleremo fra qualche giorno) posso felicemente affermare che Il messaggero cinese non è stato altro che un passo falso.
La grande corsa è una storia texianissima come non se ne vedevano da parecchio tempo. Considerato che sto facendo la rilettura integrale di Tex [n.d.r. le recensioni sono arrivate fino all’anno di grazia 1966], confesso che mi è parso di avere fra le mani una storia che sarebbe potuto benissimo uscire all’interno della centuria 100-200 da tanto che è bella. Si respira aria di Tex Willer sin dalla bellissima copertina e all’interno troviamo un ranger raddrizzatorti e difensore dei deboli, sempre pronto a prendere i prepotenti a sganassoni in faccia scambiando sagaci battute con il fido Carson. Insomma, il Tex dei vecchi tempi, quello che tutti amiamo. Non mancano neppure colpi da nostalgia canaglia, soprattutto nei continui rimandi al cavallo Dinamite presenti nella prima parte della storia.
A Ruju bisogna anche dare il merito di essere riuscito a realizzare una storia decisamente originale. La corsa dei cavalli, peraltro un evento storico realmente accaduto, è una tematica nuova su Tex e questo, dopo ben 70 anni di vita nelle edicole, non era affatto scontato. Lo script di Ruju è solido e senza particolari sbavature, tranne qualche inevitabile traballamento nel finale, quando la vena thriller della vicenda, quella meno convincente, a parere di chi scrive, prende il sopravvento. Si tratta dell’unica sbandata, peraltro limitata a poche pagine, di un albo altrimenti bellissimo, scritto con grande maestria e che propone qualcosa di davvero mai visto sulle pagine di Tex.
Qual è allora il problema? Perché dico che i disegni di Diso non riescono ad elevare l’opera? Perché Diso ha 86 anni, gli occhi e la mano non sono più quelle di una volta e le vignette sono decisamente malriuscite. Certo, Diso se la cava ancora molto bene nella rappresentazione degli animali e il dinamismo delle cavalcate è assicurato, ma basta davvero a salvare capra e cavoli?
Pose traballanti, anatomie errate, primi piani altalenanti e prospettive non sempre azzeccate si susseguono nelle 292 pagine dell’albo. Gli stessi difetti riscontrabili nelle ultime produzioni dei grandi fumettisti italiani che hanno continuato anche in tarda età. Alcuni, come Fernando Fusco, hanno deciso di rinunciare quando il loro tratto era ancora all’altezza dei vecchi lavori, mentre molti, la maggior parte, hanno continuato anche dopo il gong.
Diso, a mio parere, è uno di questi ultimi. Sbaglierò? Può darsi, d’altronde non ho certo la pretesa di avere la verità in mano. Ma così come mi ha addolorato vedere Claudio Nizzi realizzare storie di Tex sempre più piatte e deboli dopo i fasti dei decenni precedenti, così mi addolora vedere Diso, un disegnatore che, ripeto, ammiro da sempre, realizzare lavori come questi.
E quindi niente. Abbiamo una storia bellissima che, da sola, riesce a tenere in piedi la baracca e lo fa con grande competenza. Per ora dobbiamo accontentarci di questo.
0 commenti