Nuovo capitolo di questo nostro viaggio alla riscoperta della grande saga di Tex Willer, il personaggio creato da Gian Luigi Bonelli e Aurelio Galleppini nel 1948 e che nel 2018 ha festeggiato il settantesimo anniversario di presenza ininterrotta nelle edicole.
Per questa serie di recensioni anno per anno della saga del ranger prendiamo in considerazione la numerazione della Seconda Serie Gigante, il cui primo numero risale al 1958, quella più venduta e amata dai lettori e che prosegue ancora oggi e che per quasi cento numeri ha riproposto le storie di Tex uscite negli albi a striscia dal 1948 fino alla fine degli anni ’60.
Il 1978 è un’annata particolare e la motivazione la diremo alla fine.
L’anno si apre con una storia che riporta in scena il magico duo Bonelli-Galep, ovvero L’aquila e la folgore.
Tex e i suoi pard indagano su una serie di rapine avvenute ai danni di John Walcott, proprietario della miniera Golden Well. Dietro a tutto c’è il banchiere Paul Brady, il quale manovra per impadronirsene con l’aiuto di Tom, fratello di John.
Trattasi di un onesto western cittadino che si poggia tutto sui disegni di Galep, decisamente in buona forma. Se la trama è classicissima, Bonelli riesce ad inserire alcune situazioni inedite piuttosto interessanti ed è padre di una trovata molto divertente, quella in cui Kit Willer e Tiger Jack si fingono cacciatori di taglie che vengono assoldati per uccidere Tex e Carson.
Un bel racconto western, senza dubbio.
Segue una delle storie più atipiche per la tradizione bonelliana: Linciaggio!, un amaro e pessimistico racconto piuttosto breve, meno di un albo e mezzo, in cui Tex agisce quasi sempre da solo, senza i pard e dove è costretto a confrontarsi con una comunità di rispettabili cittadini resasi protagonista di un tentativo di linciaggio nei confronti di un nero accusato di omicidio. Il finale è triste, amaro e con un Tex impotente, che si trova quasi a dover affrontare un vecchio amico, quasi sconfitto dagli eventi, molto lontano dal raddrizzatorti visto nei trent’anni precedenti.
Ammetto che quando la lessi la prima volta pensai che fosse di Nolitta, visto il tema trattato e le caratteristiche della storia. Dato che i dialoghi sono fondamentalmente bonelliani, ho pensato che magari Nolitta avesse suggerito il soggetto e poi Bonelli lo avesse realizzato. Ho sbagliato, ma non di molto, visto che l’idea di base è di Giorgio Bonelli, fratello minore di Sergio, alias Guido Nolitta.
I disegni di Erio Nicolò sono abbastanza standard, senza eccellere troppo, ma il suo stile, con quel Tex così umano e poco eroico, è il più adatto a rappresentare un’avventura di questo tipo.
Nel complesso, una bella storia, interessante proprio perché atipica.
Segue Tucson!, cui fa il suo ingresso nella serie lo sceriffo Tom Rupert, il quale, soprattutto a partire da Il passato di Carson di Mauro Boselli, sarebbe diventato un comprimario ricorrente nella serie.
La cittadina di Tucson è dominata dal Ring, una misteriosa associazione criminale che fomenta l’odio degli Apache per scatenare una nuova guerra indiana. L’obiettivo finale è la cacciata degli indiani dai loro territori in modo che gli affaristi dell’associazione possano mettervi le mani. Tex e i suoi pard al gran completo intervengono per impedire che tale nefandezza si compia.
Affidata ai pennelli di Guglielmo Letteri, Tucson è un altro esempio della tipica narrazione fluviale derivata dal feuilleton tanto cara a Bonelli: la storia parte come un classicissimo western cittadino, non molto distante dalla già citata L’aquila e la folgore, per poi terminare su tutt’altri lidi.
Per quanto non si possa considerare brutta, Bonelli ha allungato eccessivamente il brodo: la prima parte, tutta ambientata a Tucson, è un lungo elenco di scazzottate al malcapitato di turno per fargli raccontare quello che sa, mentre nel secondo e terzo albo si assiste ad un alternarsi degli ambienti e della situazione. A parer mio, il racconto si trascina per tre albi pieni quando invece sarebbe potuto benissimo stare in due, arrivando ad essere stiracchiato e, a tratti, noioso.
Girato l’angolo, spunta I due rivali, a mio avviso una delle storie meno riuscite del vecchio Bonelli, pur presentando situazioni inedite.
Kit Willer è stato ferito dalle parti di Nogales per salvare la bella Manuela Montoya ed è rimasto nel suo ranch per ristabilirsi. Fra i due nasce una storia d’amore decisamente malvista sia dal padre di lei, don Carlos Montoya, che dal ricco ranchero Pedro Cortez. Ed è proprio Cortez che, allo scopo di impressionare la bella Manuela, organizza un bizzarro piano per fare colpo.
La storia, di certo non memorabile, è appesantita dal fatto che l’argomento dell’amore fra Kit e Manuela non interessi minimamente il vecchio Bonelli, infatti non solo lo tratteggia malamente e con una certa goffaggine, ma, appena può, si butta a capofitto nel western classico e il risultato finale è comunque deludente.
In linea Nicolò, il quale, da buon professionista, ha portato a termine il proprio lavoro con grande competenza.
Meglio la successiva Santa Cruz disegnata da Giovanni Ticci.
Tex e Carson trovano riparo in una vecchia missione, dove un frate chiede loro di mettersi sulle tracce di padre Matìas, partito per recuperare un tesoro che avrebbe permesso ai frati di migliorare la missione e sfamare tutti i poveri. La missione sembra impossibile, ma i due ranger arrivano fino alla missione di Santa Cruz, a suo tempo distrutta e da anni rifugio di fuorilegge e sbandati. Al loro arrivo, però, si verificano misteriosi avvenimenti soprannaturali come il suono delle campane senza nessuno che le azionasse. Ed è durante la notte che avviene il fatto più strano di tutti.
Ecco, io ho dei sentimenti contrastanti per questa storia: l’unica parte realmente interessante sono le prime cinquanta pagine, almeno fino al momento in cui Tex sogna il fantasma di padre Matìas. Da lì in poi, la storia perde tutto il suo fascino e si trasforma in un western qualsiasi. Un’occasione buttata di elevatissimo livello, con un’avventura che poteva essere incredibilmente in anticipo sui tempi (Il nome della rosa di Umberto Eco non era ancora uscito). Va detto che contiene alcune parti interessanti, come Tex che tortura psicologicamente i suoi avversari e con il pentimento in punto di morte di uno dei nemici.
Questi aspetti e i disegni di un Ticci sempre più personale e innovativo fanno lievitare la storia sopra la soglia della sufficienza, ma non oltre.
Chiude l’anno Guerra sui pascoli, storia molto buona e disegnata da un Ferdinando Fusco particolarmente in forma.
Il ranchero Paul Balder, detto El Carnicero, è diventato ricco dopo aver cacciato e venduto scalpi Apache per anni e anni. Per ingrandirsi, organizza attacchi ai ranch vicini per convincere gli occupanti a sloggiare e potersi così impadronire delle loro terre. Tex e i suoi pard intervengono per porre fine alla sua tirannia.
Questa storia presenta un particolare curioso: un avversario soprannominato El Carnicero era già apparso in un episodio precedente intitolato Sulle rive del Brazos, ma i due personaggi non hanno niente in comune.
A prima vista è la classica storia del ranchero prepotente che abbiamo già trovato mille volte in Tex, ma è valorizzata innanzitutto dai bei disegni di Fernando Fusco e da un paio di trovare di cui parleremo dopo. Il personaggio del Carnicero, apparentemente, non si discosta granché nel classico nemico di Tex visto cento volte, ma la sua figura verrà notevolmente potenziata nel seguito che sarebbe uscito alcuni dopo firmato da Claudio Nizzi.
Le trovate cui mi riferivo in precedenza sono l’intervento di Tahzay, il figlio di Cochise, capo degli Apache Chiricahua e la figura di Nita, alleata e amante del Carnicero che viene uccisa da lui stesso. Il finale vede Tex e i suoi pard assistere all’attacco degli Apache. Una scelta senza dubbio un po’ inusuale, ma giustificata da esigenze narrative.
Annata particolare, dicevamo in apertura. Il motivo è che, non me ne vogliano i bonelliani più incalliti, il 1978 è l’anno di Tex che meno mi ha entusiasmato nel suo complesso. Se le buone storie ci sono, è altrettanto vero che abbiamo alcune storie mediocri e troppo stiracchiate senza alcuna ragione.
La Golden Age, avviatasi con Sangue Navajo, ha raggiunto il suo apice tra il 1969 e il 1975. Da lì in poi una lunga discesa in cui la qualità media si abbassa inevitabilmente pur continuando a mantenersi su buoni livelli. Nel 1979, posso già anticiparlo, avremo una risalita che si consoliderà nel 1980 quando uscirà Gli eroi di Devil Pass, a mio avviso l’ultimo capolavoro di GL Bonelli che chiude, idealmente, la Golden Age.
Ma avremo tempo di riparlarne.
Buona sera. Volevo sapere a quando le recensioni dell’anno 1979.
Grazie