È iniziato il percorso dei ‘medaglisti’, ossia gli albi Bonelli che oltre a presentare un aumento di prezzo, regalano le medaglie degli eroi Bonelli e offrono (questa sì una novità più duratura) una copertina con grammatura maggiore e soprattutto a colori anche per la seconda e terza di copertina.
E devo dire che il colophon di Dampyr con quelle belle macchie sporche di sangue ci fa la sua bella figura. Direi che anzi è più bello e significativo graficamente rispetto alle copertine celebrative di questo mese di aprile che vedono tutte l’eroe eponimo della serie statico su uno sfondo a tre bande (due estreme monocolore e poi una centrale di fatto in bianco e nero con un luogo simbolo per la serie… Praga ovviamente per Dampyr).
Ma bando agli indugi e buttiamoci nella recensione de I figli di Pontemorto.
I figli di Pontemorto – Dampyr 253
Soggetto e sceneggiatura: Mirko Perniola
Disegni: Paolo Raffaelli
Copertina: Enea Riboldi
Mirko Perniola, guest star (come lo definisce la rubrica …dal buio a p.4) prestata a Dampyr, ci confeziona una storia horror bella, drammatica e e con il giusto livello di suspence. E Paolo Raffaelli ormai in pianta stabile nello staff dei disegnatori dell’ammazzavampiri di casa Bonelli non si fa pregare dall’accentuare con i suoi chiaroscuri le zone d’ombra di cui è ricco il racconto.
E ‘zona d’ombra’ è per altro un lessico tecnico del linguaggio dampyriano perché indica quelle sacche di presenza di male che sono refrattarie alla luce e conservano in sé una forza malefica che in qualche modo deve poi sprigionarsi. Come fa parte del mondo dampyriano la zona della bassa ferrarese nella valle del Po che è già stato teatro di una bellissima storia di Boselli/Majo (D66 Il grande fiume), dove avevamo fatto la conoscenza di Bianca, una delle ragazze a cui il nostro bel Harlan ha rubato parte del cuore come vediamo da subito a p.25.
Insomma piccole grandi tracce di continuità dampyriana che possono apprezzare i lettori di lunga data (e con buona memoria!!!). Ma al netto di queste note la storia è un classico stand alone come è tipico per i soggetti e le sceneggiature di guest star o di chi magari inizia la sua collaborazione con Dampyr (così come era stato per il povero Maurizio Principato, scomparso recentemente e improvvisamente e che qui voglio ricordare).
La vicenda ruota attorno ad un lugubre manicomio per bambini da tempo chiuso ma ancora carico delle sofferenze subite e del male ivi perpetrato.Si tratta di un tema delicato, ovvero quello dell’innocenza violata (curiosamente da poco trattato anche in un altro fumetto horror, Samuel Stern nel numero 12). Innocenza violata da una violenza fisica e soprattutto psicologica in grado di plasmare le teneri menti dei fanciulli (e proprio su questo si sviluppa tutta la parte finale – catartica con il suo rogo purificatore – della vicenda).
Harlan si inserisce nella vicenda proprio per la sua doppia natura che lo rende specialmente in grado di affrontare un male così radicato anche se di per sé i suoi classici poteri da Dampyr qui non sono immediatamente utili.
Perniola tiene la tensione alta dosando nella prima parte i momenti horror a paese di spiegazione che non ci tolgono però l’impressione del male strisciante pronto a colpire e a colpire nel buio e nel freddo.
Come già detto Raffaelli da par suo si trova perfettamente a suo agio e dà fondo alla china (digitale o reale che sia) per creare in alcune tavole quasi l’opposto di una linea chiara: le figure e le forme emergono dal buio tramite la fioca luce che penetra in quegli angusti anfratti e scantinati. Forse non mi entusiasma molto il viso di Harlan o meglio non mi entusiasma tanto quanto mi piacciono altre figure come quella di Bianca o anche dell’anziana Clara o del mostro contro cui combatte Harlan al termine dell’albo.
Un ultimo nota bene: lodevole il lavoro sul dialetto di Perniola che fa parlare i locali con espressioni e battute dialettali che poi gli stessi traducono ad uso di Harlan e nostro. Uno dei tanti segni di realismo che caratterizza questa bella e duratura serie Bonelli.
Grazie!