Rose! Che belli rrose!…Torna maggio!
Sentite ‘addore ‘e chisti sciure belle!
Non avrebbe potuto essere più fragrante e primaverile di così, il tanto sospirato ritorno in edicola de Il Commissario Ricciardi, con il terzo magazine annuale dacché la testata ha ricevuto il suo varo bonelliano.
Il Commissario Ricciardi Magazine 2020 (maggio 2020)
Il viaggio di una rosa
Soggetto: Maurizio de Giovanni
Sceneggiatura: Claudio Falco
Disegni: Luigi Siniscalchi
Il vento cambia
Soggetto: Maurizio de Giovanni e Paolo Terracciano
Sceneggiatura: Paolo Terracciano
Disegni: Alessandro Nespolino
La guerra di Modo
Soggetto: Maurizio de Giovanni e Sergio Brancato
Sceneggiatura: Sergio Brancato
Disegni: Luigi Siniscalchi
Maggio
Soggetto: Maurizio de Giovanni
Sceneggiatura: Claudio Falco
Disegni: Carmelo Zagaria
Forse non esiste, nel repertorio della canzone napoletana, mese dell’anno che sia stato più “cantato” del quinto: da Era de maggio (1885) a Maggio si tu! (1913), passando per Torna maggio (1900) e culminando in Rusella ‘e maggio (1939), di cui ho voluto citare un paio di strofe nell’epigrafe iniziale, perché credo che facciano felicemente pendant con la splendida copertina di Daniele Bigliardo. Maggio, insomma, è mese “canoro” per elezione: si perdono in secoli remoti, le radici di quelle Calendimaggio che a tutt’oggi si celebrano in gran parte dei borghi dell’Italia settentrionale e centrale. Maggio pagano, maggio mariano. Maggio crocevia tra le stagioni, di cui è bene diffidare, perché «[…] vi prende alle spalle, in questa città. Arriva di soppiatto, vi cinge con soffici tentacoli e vi fa pensare che vada tutto bene, che sia tutto a posto, e invece…» (p. 145).
E invece tradisce la vostra fiducia, perché vi fa uscire per le vie della città con un sole già estivo che lustra strade e palazzi, per farvi rincasare fradici di pioggia. Ecco, questo barometro folle, infido e mutevole è la costante delle quattro storie inedite di questo magazine, che forse più dei due che l’hanno preceduto si salda alla quadrilogia delle Stagioni [qui potete leggere la recensione dell’ultima stagione, l’autunno], per la forte incidenza del fattore climatico. Per averne conferma, basta leggere la didascalia d’apertura della prima storia di Ricciardi e subito dopo quella di chiusura dei Bastardi: tra l’una e l’altra c’è un’ideale congiuntura, che dà prova – peraltro – di come la Regia polizia del nostro cilentino e il Commissariato di Pizzofalcone appartengano a una stessa realtà, o per meglio dire a uno stesso immaginario letterario, nel quale il giallo è, almeno nei racconti, una “sfumatura di genere”, un aspetto collaterale di una narrazione che è quasi tutta centrata su una città e sui suoi “ultimi”, sui suoi “paria”. Se Ricciardi ci offre l’affresco di una varia e variopinta umanità, i Bastardi ne offrono una versione aggiornata, vestendo gli ultimi con abiti di foggia più moderna [dei Bastardi è uscito finora un unico volume a colori].
Il viaggio di una rosa, Il vento cambia, La guerra di Modo, e infine il Maggio dei Bastardi: quattro racconti inediti uniti dal potentissimo legante dell’inaffidabilità del meteo. Il tempo cambia bruscamente, il caso fortuito diventa in un attimo fatalità e accidente. Gli affamati si cannibalizzano gli uni con gli altri (non potendosi procurare altro nutrimento), e le indagini si chiudono in tempi rapidissimi, essendo le piste da seguire molto corte. L’impressione, ad albo terminato, è che qui come non mai si palesi l’impotenza che i rappresentanti dell’Ordine possono avere in una città come Napoli: in queste storie, l’intervento delle pattuglie si riduce di fatto alla pura messa a verbale del danno avvenuto.
Limitatamente al ciclo del commissario, i lettori di vecchia data avranno modo di rischiarare le poche zone d’ombra su un passato che, nei precedenti numeri, era stato appena appena accennato: attraverso uno scarto temporale, assistiamo al battesimo di Luca Maione in divisa, a fianco del padre e poi, per bocca del dottor Modo, veniamo precipitati nell’assordante fragore delle trincee, tra pulci, ratti e sibilanti shrapnels dell’esercito austroungarico. Storie ghiotte, dunque, non solo per quanti hanno ancora delle curiosità insoddisfatte sui retroscena, ma anche per quei lettori che – come me – hanno il vezzo di ricercare rimandi cinefili nelle vignette: alcuni si sorprenderanno a scovare il viso di Fernandel in un cappellano d’ospedale, altri rivedranno l’esatta riproduzione della locandina di Ninì Tirabusciò – La donna che inventò la mossa e altri ancora un fotogramma da Uomini contro di Francesco Rosi. In fine, pochi coglieranno la citazione (d’esattezza millimetrica) di una scena tratta da un magnifico sceneggiato rai del 1971, La sciantosa, con quella gigantessa della Magnani nella parte di una matura chanteuse. Insomma, il piatto non potrebbe essere più ricco. E se il rimpallo tra cinema e fumetto non fa più notizia, la triangolazione racconto-vignetta-pellicola è invece un fatto nuovo, che ci regala un’esperienza di “lettura aumentata”.
Sulla maestria di sceneggiatori e illustratori, ormai, non possono sussistere dubbi di sorta: senza nemmeno bisogno di una naturale fase di rodaggio, hanno subito ricreato un intero universo narrativo, apportandovi un contributo sempre arricchente, sul fronte visivo come su quello contenutistico.
Brancato, Terraciano, Falco, Siniscalchi e Nespolino sono i nomi della “scuderia” ricciardiana con i quali noi tutti abbiamo ormai creato un’affettuosa confidenza, ma anche Zagaria, qui sulle tavole dei Bastardi, ha saputo dare buona prova di sé, riuscendo nel non facile scopo di restituire una forte espressività umana al “bestiario” di Pizzofalcone.
Per ultimo, ho voluto lasciare il nome di Bigliardo, che con le sue sontuose illustrazioni a pagina piena ci regala qui un’indimenticabile “passeggiata d’autore” per le vie di Napoli. E non c’era meta più desiderabile in cui ci si potesse portare a spasso, per inaugurare la Fase 3.
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