L’alba dei morti viventi – Dylan Dog n.1 (ottobre 1986)

Scritto da Giacomo Mrakic

26 Mar, 2020

In questo periodo di quarantena sono molte le aziende che hanno cercato di venire incontro alla cittadinanza cercando di alleviare, per quanto possibile, la situazione pesante di confinamento entro le mura domestiche. Tra queste anche la Bonelli non è stata da meno, decidendo di rilasciare alcuni volumi in formato PDF per la gioia dei lettori più (e meno) giovani.

Chi mi conosce sa bene quanto io sia restio all’utilizzo dei formati elettronici per la lettura, preferendo il cartaceo, ma, in questo frangente, è necessario  adeguarsi alle necessità del mercato e, perché no, cercare anche di invogliare nuovi lettori con gli strumenti che la tecnologia mette a disposizione. 

Tra le varie uscite che la Bonelli ha previsto in queste lunghe settimane che ci separano dal ritorno allo status quo ante, è particolarmente gradita il (mitico) primo numero di Dylan Dog.

  

 

L’alba dei morti viventi – Dylan Dog n.1

Soggetto e sceneggiatura: Tiziano Sclavi

Disegni: Angelo Stano

Copertina: Claudio Villa

Credo che una recensione su questo numero sia una cosa assolutamente scontata; sono ormai passati quasi 34 anni dall’ottobre 1986 quando uscì il primo numero di DYD (in realtà uscito a fine settembre ma con data ottobre), e sinossi, trame e analisi se ne sono scritte e se ne trovano in tutte le salse e da ogni parte; in questo numero peraltro troviamo già tutto quello che un qualsiasi lettore estraneo al fumetto dovrebbe sapere del nostro eroe: un nemico, una spalla comica, una cliente affascinante, l’orrore, una minaccia incombente sventata ma non definitivamente eliminata.

Sono tutte queste caratteristiche che fin dal primo numero hanno reso Dylan Dog un fumetto di culto. In un’Italia di fine anni ottanta, dove la situazione mondiale stava facendo vacillare le certezze del duopolio USA-URSS, dove la società stava cominciando a mutare, un fumetto che parlava dell’orrore rapportandolo al quotidiano consentiva al lettore di calarsi in una realtà che gli era propria e gli apparteneva. Spesso Dylan Dog è stato accusato di ripetere determinati cliché, che già sono rinvenibili nel primo albo; ma quei clichè non sono altro che degli appigli, delle certezze che permettono al lettore di ritrovarsi in un mondo e in una società che, all’epoca, ma forse anche oggi, non ha più punti fissi. In quella società liquida, per dirla alla Bauman,

Dylan Dog ha rappresentato e rappresenta un’ancora di salvezza. E tutto questo semplicemente perché Dylan Dog non è altro che una figura nella quale qualsiasi adolescente, sia quelli degli anni 80, che i più tardi lettori (io stesso ho iniziato in terza media, a fine anni 90) può identificarsi.

Dylan Dog rappresenta, per un giovane lettore, un faro nell’oscurità, un lampo nel buio; riesce ad essere un punto di riferimento saldo, un compagno, un precursore che ti dimostra come gli orrori esistano nel quotidiano e come sia necessario che essi vadano affrontati pur con tutti i nostri difetti; Dylan Dog è come tutti noi, è umano, anche lui sbaglia e non è perfetto, ma al tempo stesso ci insegna che la vita va saputa vivere pienamente confidando nell’umanità e nel rispetto verso di sé e degli altri.

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