Le recenti anticipazioni del mese di luglio dal catalogo Bao/Bonelli che abbiamo presentato nel nostro preview hanno portato ad una discussione sentita in vari gruppi (nel nostro e in quello di Brendon in particolare) sul nuovo formato a 64 pagine che viene/verrà usato con sempre maggiore frequenza da parte della Sergio Bonelli Editore.
Mi sembra uno spunto interessante per un editoriale che vuole riassumere per sommi capi la storia fin qui, evidenziare le critiche e cercare di capire i pregi di questa scelta editoriale.
E innanzitutto come ha ben detto Max Bertolini rispondendo nel gruppo di Brendon a chi chiedeva conferma del passaggio a 64 pagine dello Speciale di Brendon (prima che Claudio Chiaverotti rivelasse che lo speciale sarà diviso in due numeri da 64 pagine che usciranno a luglio e agosto): «le scelte editoriali sono appunto dell’editore» e quindi non competono a chi è invece responsabile dell’aspetto creativo ovvero scrittore e disegnatore. A questi spetta realizzare la loro opera dentro i vincoli e/o le opportunità che l’editore impone. Ma non è sempre stato così nell’arte? In fin dei conti il pezzo di marmo da cui Michelangelo ha scolpito il Mosè è quello e non si potevano aggiungervi pezzi e la superficie della volta della Sistina ha quella estensione e quei vincoli di forme a cui l’artista si è dovuto adattare per realizzare il suo capolavoro.
Ma non voglio divagare eccessivamente. Ripercorro semplicemente la storia e riporto alcune considerazioni di chi ha lavorato o pensato queste nuove strade.
1. All’inizio (ma nel recente) ci fu il Tex cartonato ‘alla francese’.
Una serie prestigiosa e di grande formato con carta ludica a colori ma con il problema di avere solo 48 pagine (come accade per Asterix e per la maggior parte dei fumetti della bèdè transalpina). Come si fa a pensare di fare una storia di Tex in sole 48 pagine? Tanti ‘puristi’ hanno storto il naso e hanno affermato che ‘quello non è Tex!’, ma la prestigiosa serie continua il suo percorso e ci ha regalato con Boselli/Andreucci e Boselli/Mastantuono due ottime prove. E poi succede davvero così poco (al di là del fatto che in questo formato le strisce per tavole sono 4 e non 3 e quindi in realtà si tratta di oltre 60 pagine della normale tavola Bonelli)?
2. La prima miniserie brossurata a 64 pagine a colori: Cico a spasso nel tempo.
Ad inaugurare il formato 64 pagine, più grande e a colori è la miniserie di Cico a spasso nel tempo uscita a metà 2017. Non entro nel merito (ci sono stati alti e bassi, ma un paio di numeri – su tutti il terzo per me – sono stati davvero gradevoli), mi interessa qui sottolineare un parere di Moreno Burattini al proposito: la miniserie è stata ideata in poco tempo, realizzata velocemente ed è arrivata al pubblico di fatto entro un anno dall’avvio del processo creativo e dall’okay dato alla sua produzione. Un tempo per il fumetto Bonelli davvero ridotto che consente di razionalizzare gli investimenti e soprattutto di mantenere vicini nel tempo l’atto creativo e il confronto con il pubblico.
3. Morgan Lost – Dark Novels ovvero dallo scetticismo agli applausi
Il cambio di formato di Morgan Lost ha dato il via a mille e mille critiche e dure reprimende da parte di tanti collezionisti che si sono sentiti traditi: per un collezionista che si dedica alle serie Bonelli la costa dei fumetti, l’altezza e lo spessore non sono questioni secondarie ma toccano le corde dell’appagamento visivo. E su questo pur non essendo un collezionista onnivoro lo posso capire… ma poi cosa mi sta più a cuore da lettore? La storia, l’intreccio narrativo e il gustarmi l’arte sequenziale del disegno dei tanti artisti in forza alla Bonelli. E allora lo scetticismo si è tramutato in ammirazione per il coraggio dimostrato dalla banda di Chiaverotti e compagni nell’affrontare la sfida di un cambio di formato e anche di impostazione narrativa (in questo caso un arco di storie concatenate come gli episodi di una adrenalinica e hard boiled serie TV). Insomma mi sono ricreduto e ho riconosciuto la bontà del prodotto.
4. Il futuro prossimo: Deadwood Dick e Brendon
Il preview Bao ci ha messo di fronte a due nuovi casi di formato a 64 pagine: una miniserie che si preannuncia una bomba – Deadwood Dick – per autori e disegnatori e uno speciale estivo di Brendon che prende il formato del fratellino minore Morgan Lost. Ma qui il tradimento del formato Bonelli sembra più importante per la tradizione di Brendon (20 anni nel formato bonellide) e degli speciali in generale. E quindi? Quindi la parola spetterà a noi lettori che potremo decretare il successo o l’insuccesso di questa svolta per Brendon e valutare se dare una nuova chance in un nuovo formato al malinconico cavaliere di ventura della Nuova Inghilterra post-apocalittica. Io mi auguro di poter dire come è accaduto per Morgan Lost – Dark Novels: ‘non me lo aspettavo, è proprio un ottimo fumetto!’. Ma ne riparleremo. Aggiungo solo già un beneficio che vedo per Brendon: due copertine di Lola Airaghi invece che una sola!
Concludo con due note. La prima sui disegni che davvero ci guadagnano in un formato più ampio (come mi ha detto anche Luigi Mignacco per il suo Keller nato per il formato Bonelli e ora uscito per ora solo in libreria in un formato brossurato più grande).
La seconda la lascio ai commenti di Gianfranco Manfredi che così parla in tre successivi post nel nostro gruppo Facebook L’avventura a fumetti da A(dam) a Z(agor) del formato a 64 pagine che gli è stato indicato dall’editore per realizzare la nuova corposa miniserie (almeno venti episodi per ora) Cani sciolti:
«[…] Per quanto mi riguarda ho fatto in modo che ce ne sia molto di più, di contenuto narrativo. E’ sufficiente ripensare la sequenzialità ed evitare scansioni di azioni e gesti al rallentatore. Inoltre nel nuovo formato la spettacolarità ci guadagna, la ricerca grafica si potenzia, rispetto al tradizionale formato a tre strisce, insomma si può dedicare più tempo e maggiore attenzione ai disegni.»
«Aggiungo che la storia per Le Storie, mia e di Antonio Lucchi, sulla quale dirò di più nell’imminenza dell’uscita (per adesso dico solo che è sontuosamente a colori e che i colori li ha studiati lo stesso Lucchi, cioè non è stata colorata DOPO, è NATA a colori) è anch’essa in certo modo dello stesso formato, in quanto: non è a tre strisce, ma con diversa impostazione delle tavole, ed essendo di 120 tavole è 60+60. Anche gli episodi di 60 tavole più redazionali di Audace sono per la maggior parte episodi doppi cioè di 60+60. Ripeto: il contenuto narrativo non viene affatto sacrificato. Basta studiare meglio il modulo e le scansioni delle sequenze e il contenuto se non resta invariato, aumenta, con l’ulteriore vantaggio di evitare sequenze inutilmente rallentate del tipo: preparazione del pugno- pugno in arrivo- caduta dell’avversario. Cioè tre vignette per un’azione che in un qualsiasi fumetto internazionale di solito si racconta in una vignetta unica, più efficace e insieme più dinamica»
«E non scambiate questa cosa con chissà quale rivoluzione. All’epoca del fumetto a strisce, quando cioè le strisce uscivano sui giornali e di una storia si leggeva una striscia per volta, per dare maggior contenuto narrativo si usavano (per esempio nelle storie di Dick Tracy o in quelle di Mary Perkins) salti di tempo tra vignetta e vignetta. Per esempio: prima vignetta, due personaggi escono di casa iniziando un discorso; seconda vignetta i due personaggi sono in auto e continuano il discorso andando a destinazione, terza vignetta i due sono già arrivati sul posto. Cioè. si tagliavano con montaggio più cinematografico le scene superflue, i tempi morti, e di solito tediosi con i due che escono, i due che prendono l’auto, i due in auto, l’auto in viaggio, i due che parcheggiano, i due che entrano nel posto. La varietà delle inquadrature era notevole, perché si alternavano tutti i piani in una sola striscia: mezza figura, campo lungo, primi piani, figura intera, con un’esecuzione grafica vivace e non monotona. Quando in Bonelli il formato originale a tre strisce è diventato tre strisce per pagina, non si vendevano più le storie a strisce , ma in albo, e dunque l’impostazione divenne più teatrale perché ci potevano essere, per esempio su Tex, anche otto pagine di seguito nello stesso ambiente e con lunghi scambi dialogici tra i personaggi, con il risultato NON di aumentare il contenuto narrativo dell’episodio che restava identico, ma di rallentare il ritmo narrativo stesso. Insomma: si tratta di tecniche diverse di racconto, non di narrazione in sé.»
Quindi a noi lettori il verdetto (ma è sempre così e questo è anche il bello della libertà di lettura), ma intanto mi pare di poter affermare che il gesto creativo non dipende dal formato, ma solo dal desiderio di narrare storie e di farlo bene!
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