La grande consolazione – Dylan Dog Speciale n.34 (settembre 2020)

Scritto da Chiara Cvetaeva

27 Set, 2020

«Adesso noi vediamo come in uno specchio, in maniera confusa; allora vedremo faccia a faccia.» (1Cor 13,12)

Così scriveva l’apostolo Paolo alla comunità cristiana di Corinto, dando per inteso come la conoscenza riflessa, la conoscenza speculare, fosse indegna di fiducia. Lo specchio agisce in malafede: restituisce l’immagine di un istante che subito trapassa, e che smette d’esser vero già nell’istante successivo. Attimo dopo attimo, l’immagine specchiata vive una morte ininterrotta.

Per aggirare lo specchio, perfido prestigiatore, bisogna passarci attraverso: solo per questa via potremo avere contezza della nostra faccia, quella vera, al di là dell’affannoso rincorrersi degli istanti.

 

 

La grande consolazione – Dylan Dog Speciale n.34

Soggetto e Sceneggiatura: Alessandro Bilotta

Disegni: Carlo Ambrosini

Copertina: Marco Mastrazzo

 

Questo, almeno, accade alla giovane Bethany, che in un giorno non meglio precisato, in un Medioevo volutamente generico, incontra se stessa, e vede ciò che è, pur non essendolo ancora del tutto. Bethany incontra la Morte, da cui erediterà la falce, di lì a qualche secolo. Ed è una felice combinazione (o forse un’accorta deliberazione) che la nostra apprendista falciatrice si chiami proprio Bethany, come la biblica città di Betania, dove Lazzaro, il redivivo per antonomasia, era stato richiamato alla vita. Il nome appare quindi singolarmente appropriato, per una donna destinata a esercitare il magistero di Morte nell’epoca dei Ritornanti. 

La storia di Bethany, con le miserie e le fortune che la conducono al rango di Grande Incappucciata, fa da interludio alla Messa da requiem che intanto continua a risuonare per il Pianeta dei Morti: qui, mentre la pandemia procede a vele spiegate, la ricerca sul morbo e la sua possibile cura finisce in secca. Anzi, se ne ridiscute la causa scatenante (il siero messo a punto da Xabaras e ulteriormente sviluppato dal dottor Hicks), invalidando ogni progresso fatto, il che basta a sprofondarci in uno scenario sinistramente familiare, ben oltre l’immaginario fumettistico. 

 

 

La scienza, dunque, combatte con armi spuntate e procede a tentoni: non traccia le rotte del mondo, ma ora le subisce, ora le varia appena un po’. Non fa meraviglia che questo succeda alla Scienza, sebbene in tanti cedano alla confortevole tentazione di assolutizzarne il potere. Fa meraviglia che succeda alla Morte: c’è una domanda, infatti, che Bethany ripete come un martellante refrain: “Chi ha deciso il mio destino?” Lo chiede quasi fosse la pedina, anziché la scacchista. E però, chi ci dice che non lo sia? Se è vero che il decimo numero della serie storica fa da sostrato a questo trentaquattresimo speciale, e che Alice attraverso lo specchio fa da sostrato al decimo numero, allora potremmo pure farci arditi e leggere in filigrana, nella storia di Bethany, la storia di Alice, diventata pedina in una partita di scacchi subito dopo aver messo piede nella Casa dello Specchio. E anche la nostra Apprendista Morte, nello scacchiere delle vicende umane, sembra essere mossa molto più di quanto non muova, e sembra diventare quel che alla fine diventa quasi controvoglia, al pari di una che a vestire i suoi panni ci sia ritrovata, senza dare nessuna disposizione al sarto. Intrappolata, come l’irresistibile bambina di Lewis Carroll, al di là dello specchio, la Morte è di fatto messa in scacco.

 

 

Ma non si fa in tempo a inseguire il bianconiglio in questa visione che subito l’autore (autorità indiscussa in materia di depistaggi) ci mostra la Morte in un’altra posa abbastanza topica: intenta a muovere i suoi pezzi nel pieno di una partita con l’Old Boy (qui old e basta). E la memoria corre subito a un fotogramma di quel capolavoro ultraterreno de Il settimo sigillo, col crociato Antonius Block che sfida la Morte a scacchi, mentre il flagello della peste s’incrudelisce sugli uomini e i flagellanti s’incrudeliscono su loro stessi. Che sia nel Medioevo di Block e di Bethany o nel futuro dylandoghiano poco cambia: le apocalissi finiscono sempre col somigliarsi tutte. E anche nella storia della sognante Alice balena un po’ d’Apocalisse: o meglio, così ci autorizzerebbe a credere una lettura numerologica un pelino azzardata.

Nella numerologia ebraica, il sette è compiutezza, perfezione, totalità, nonché simbolo generico di ogni associazione a Dio, tant’è che nella Apocalisse giovannea, che sigla le Scritture, ricorre in ogni dove (sette chiese, sette sigilli, sette trombe, sette piaghe, e così via elencando). Sette sono gli anni che quell’amabile svanita di Alice dichiara d’avere a un certo punto della storia. Inoltre, è nella settima casella di gioco che fa la conoscenza dei cavalieri, anch’essi con una parte nodale nella profezia di Giovanni, laddove uno di loro, putacaso, è proprio la Morte/Pestilenza. Infine, sette sono gli anni di disgrazia che, nella vulgata popolare, devono essere scontati da chi frantuma uno specchio.

 

 

Lo specchio di Sclavi e quello di Carroll, gli scacchi di Alice e quelli di Bergman: non cessa mai, Alessandro Bilotta, di rimestare il suo calderone ribollente, riconfermando quello che forse è il suo maggior pregio autoriale, cioè l’essere strabocchevole e straripante nella sostanza, ma asciutto, sorvegliatissimo, parco e quasi essenziale nella forma. È davvero una “Grande Consolazione”, sapere che nell’epoca del tutto fatto, tutto visto e tutto detto, si può essere un “narratore-oltre” senza bisogno di svilirsi a “narratore-post”. Si può, insomma, farsi tessitori di una bella storia anche maneggiando il solito, vecchio telaio. E una storia bella fa presto a diventare sontuosa se a illustrarla c’è un altro autore massiccio e a 24 carati come Carlo Ambrosini, straordinariamente a suo agio in queste atmosfere sulfuree che con-crea con Bilotta (e, d’altro canto, nessuno meglio del padre di Napoleone poteva immetterci in una vicenda fatta di spiriti psicopompi e proiezioni). La parola di Bilotta accenna, il tratto di Ambrosini sfuma. Il verbo e l’immagine concludono le loro liete nozze, invitando il lettore a banchetto.

Mi rigiro per l’ultima volta l’albo tra le mani. E leggo fugacemente, al di sopra del titolo, “Speciale 34”. Meccanicamente scompongo la cifra e sommo i due numeri: 3+4, totale 7. Un caso, ovvio. Un puro accidente, certo. Tuttavia sufficiente a cementare la convinzione che questa storia sia di una bellezza inusitata… 

Anzi, addirittura apocalittica.  

 

Alla prossima recensione!

 

Seguiteci anche nel gruppo facebook, L’avventura a fumetti da A(dam) a Z(agor), sulla pagina Facebook FumettiAvventura – Le recensioni, sul canale YouTube FumettiAvventuraTV e iscrivetevi alla nostra newsletter per contenuti quindicinali esclusivi!

Ti potrebbero interessare

0 commenti

Invia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Verificato da MonsterInsights