Vi presentiamo, praticamente in contemporanea con la data d’uscita, Fratello di sangue, il nuovo Tex mensile edito dalla Sergio Bonelli Editore. Albo autoconclusivo e che si inserisce nella serie di celebrazioni per i 75 anni di Tex, vede ai testi Giorgio Giusfredi, qui al suo esordio sulla serie regolare del ranger dopo alcune storie pubblicate sulle testate collaterali, e ai disegni il veterano Alfonso Font.
Fratello di sangue – Tex n.752
Soggetto e sceneggiatura: Giorgio Giusfredi
Disegni: Alfonso Font
Copertina: Claudio Villa
Pur essendo da sempre una rarità, eccetto ovviamente gli albi centenari, le storie singole di Tex sono notoriamente piuttosto apprezzate, divenendo in alcuni casi dei veri e propri classici (Vendetta indiana, di GL Bonelli e Giovanni Ticci su tutte). Spesso, come forse è accaduto anche qui, si è trattato di dinamiche redazionali come un buco nella programmazione, ad esempio, ma bisogna sfatare il mito che gli autori si impegnino meno quando si occupano di storie brevi.
In questo caso abbiamo una vicenda costruita ad hoc che narra il momento in cui Tex Willer e il fido pard indiano Tiger Jack sono diventati fratelli di sangue. In effetti la storia che racconta il passato di Tiger Jack e il suo primo incontro con Tex (Furia rossa, scritta da Claudio Nizzi e disegnata da Giovanni Ticci) sorvola clamorosamente su questo punto e quindi ecco un cono d’ombra che il giovane Giusfredi ha pensato bene di coprire.
Avvertenza: in questa recensione eviterò accuratamente qualsiasi possibile spoiler, ragione per cui potrebbe sembrare un pezzo un po’ freddo.
Sinossi: Kit Willer chiede al padre e a Tiger Jack di come sono diventati fratelli di sangue, immaginando che ciò sia avvenuto in seguito ai fatti narrati in Furia rossa. Tex invece gli rivela che si tratta di una vicenda successiva verificatasi quando il giovane Kit era già bambino e studiava con i frati della missione. Negli anni successivi alla guerra civile, Tex e Tiger Jack salvano una giovane ragazza trafitta da una freccia scagliata dagli indiani Osage e scoprono che c’è una carovana di pionieri che, a causa di un tradimento, rischia di finire nelle mani dei predoni. A non molta distanza, anche Kit Carson è pronto ad entrare in azione.
Giorgio Giusfredi compie un atto di grande saggezza: evita qualsiasi paragone improprio con Furia rossa (una delle storie più amate di Claudio Nizzi e dell’intera saga), narrando una vicenda successiva e del tutto slegata. L’aspetto più interessante è che, pur trattandosi di una storia ambientata nel passato, evita qualsiasi spiegazionismo e molti risvolti sono lasciati alla deduzione del lettore. Ad esempio, sia Tex che Tiger Jack sono entrambi reduci dalla morte delle rispettive compagne (più fresco il dolore di Tex per Lilyth e più lontano quello di Tiger per Taniah) e vi sono degli snodi narrativi cruciali in cui questo diventa evidente per il lettore più esperto. Non citiamo quello di Tex per ovvi motivi, ma nel rapporto che si instaura tra Tiger Jack e la giovane emigrante è evidente che il ricordo e il trauma per ciò che è successo a Taniah sono ancora vivi e presenti.
Per quanto occorra stare bene attenti a non sbilanciarsi troppo, a parere di chi scrive uno dei temi pregnanti dell’albo è l’elaborazione del lutto e l’accettazione del vivere il presente con le persone che lo popolano e lo rendono vivo e conservare nel cuore il ricordo dei defunti.
Questo non significa che siamo di fronte ad una seduta psicanalitica di gruppo!
Di western ce n’è e anche tanto: carovane di emigranti, rinnegati, battaglie e molto altro popolano le 110 pagine di questo albo.
Giusfredi si sta dimostrando sempre di più uno sceneggiatore da tenere sott’occhio in quanto depositario sì di uno stile classico (pur non disdegnando qualche momento sopra le righe che stona un po’ con il clima delle sue storie, stesso aspetto rilevato anche in La leggenda di Yellow Bird disegnata da Carlos Gomez e uscita nel 2022), ma con una sensibilità moderna all’aspetto psicologico dei personaggi e attento all’aspetto mitico degli eroi.
E poi c’è Font.
Chi scrive è il primo a dire che il suo stile ha risentito del trascorrere degli anni, ma in questa storia sembra incredibilmente ringiovanito presentando al pubblico una prestazione degna degli anni d’oro. Al netto di qualche vignetta poco riuscita, il lavoro di Font è promosso su tutti i fronti perché sono tantissime le scene degne di nota in cui è riuscito a tradurre al meglio la sceneggiatura di Giusfredi.
Per chiudere, un albo di grande qualità che riporta in alto il livello della serie regolare dopo gli ultimi mesi in discesa e che consacra Giusfredi come autore di Tex (chissà se i suoi impegni redazionali gli consentiranno di scrivere di più) e ci riconsegna un Alfonso Font finalmente ritrovato come ai vecchi tempi.
Per noi, chiaro.
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