I hear her voice
Calling my name
The sound is deep
In the dark
I hear her voice
And start to run
Into the trees
Into the trees
Into the trees
Suddenly I stop
But I know it’s too late
I’m lost in a forest
All alone […]
Non so se Nicola Venanzetti, oltre a studiare la storia drammatica e piena di folklore popolare della foresta di Aokigahara in Giappone, avesse in mente A forest, una ballata che è stata ed è simbolo della stagione più dark della band inglese dei The Cure… non so se ce l’aveva in mente… ma so che potrà apprezzare questo mio collegamento di immagini e di tono.
L’immagine di una foresta in cui ci si perde che è baudelairemente simbolo e analogia della perdita del sé più intimo e il tono di quel dark curesque che ha sinceramente (a parere di scrive) segnato un’epoca e un fare musica.
La foresta in cui Harlan va ad aiutare l’amico Kenshin è tutto questo e ovviamente anche di più!
Ed ora dopo che avete ascoltato la canzone dei Cure nel video originale del 1981, continuiamo la recensione!
La foresta dei suicidi – Dampyr n. 278
Soggetto e sceneggiatura: Nicola Venanzetti
Disegni: Giorgio Gualandris
Copertina: Enea Riboldi
Kenshin, un amico di lunga data di Harlan (ricordate la splendida doppia storia di Boselli e Genzianella dei nn. 77-78?) vede in un incubo ricorrente Hanno, un compagno d’armi e amico dell’epoca in cui era uno yakuza e quel sogno così vivo lo tormenta fino al punto di decidere di partire alla volta della foresta dei suicidi per venire a capo del mistero. Keiko, la moglie di Kenshin, preoccupata avvisa Harlan che immediatamente si reca in Giappone a soccorrere l’amico.
Tutta la vicenda si svolge di fatto nella foresta dei suicidi e al duo Harlan-Kenshin si unisce anche Watanabe, un altro frequentatore della foresta dal passato misterioso (e come non potrebbe esserlo in un contesto narrativo del genere).
La struttura portante della narrazione è quella classica di una indagine nel mondo del paranormale alla scoperta di un segreto malefico che contraddistingue la zona d’ombra della foresta di Aokigahara (e se dico zona d’ombra qualche lettore di lunga data si ricorderà altre storie ambientate in altre zone d’ombra e uscirne non è mai stato facile per Harlan!). C’è ovviamente un nemico da sconfiggere, ma prima bisogna trovarlo! Su questa ossatura c’è quindi spazio all’azione, al mistero, ad un primo scontro in cui i nostri eroi paiono sul punto di soccombere e poi c’è la completa agnizione e lo scontro finale. Ho fatto spoiler? Non credo… ho semplicemente raccontato una struttura narrativa classica che è stata modello di mille storie di Dampyr, Martin Mystère, Dylan Dog, Zagor, Tex… e di mille altri personaggi di fumetti, film e serie tv.
Il punto è ‘come’ questo racconto si sviluppo e soprattutto che cosa ci racconta di paure, ansie e angosce così intime e personali (quelle di Kenshin e di Watanabe) e allo stesso tempo così generali e universali.
Harlan in un certo senso fa da elemento di certezza, è il fattore che pur rischiando non viene mai realmente intaccato dal potere malefico della foresta e la cosa ha ovviamente la sua spiegazione nel suo essere un Dampyr, mezzo uomo e mezzo maestro della notte.
Ancora una volta il Giappone diventa ambiente di un racconto oscuro, horror in senso pieno e angosciante. Venanzetti realizza a parer mio una delle sue migliori prove nella serie (con un finale struggente e allo stesso tempo con una punta di speranza) e lo fa anche per i grandi meriti del disegnatore Giorgio Gualandris.
Gualandris non è più ormai un esordiente su Dampyr e il suo tratto è immediatamente riconoscibile, segno di una piena maturità artistica. Difficile trovare qualcosa che non funzioni nel suo disegno e quindi meglio e più facile presentare alcune delle cose che funzionano benissimo. Partiamo dagli elementi naturali: la nebbia e la foresta, o meglio gli alberi. Centinaia di alberi e di foglie che diventano protagonisti e elementi essenziali per rendere un claustrofobico e allucinato ambiente, reso ancora più spaventoso da una nebbia che nasconde e che confonde. Ma la bravura di Gualandris si vede anche nella rappresentazione dei demoni del folklore nipponico (tutto lo scontro finale da pagina 83 a pagina 95) e nelle scene di azione. Bellissime alcune tavole ad impostazione libera come quella che ho inserito sopra a questo paragrafo e che trovate tra le pagine di preview sul sito Bonelli.
Una prova maiuscola in cui si è creata forte sintonia tra sceneggiatura e disegno, elemento chiave di qualsiasi fumetto che si voglia definire buono.
Un ultimo nota bene sulla copertina di Enea Riboldi che omaggia direttamente il canto XIII dell’Inferno di Dante!
Ed ora se non lo avete ancora letto, andate a procurarvi questo bel numero di Dampyr e cercate di non perdervi nella foresta perché:
The girl was never there
It’s always the same
I’m running towards nothing
Again and again and again and again…
(thanks to Robert Smith!).
… e c’è da dire che davvero nella storia c’è una ragazza che non è veramente lì! Sincronicità? Solo Venanzetti potrà dircelo!
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