Da qualche settimana è in edicola il nuovo Tex mensile intitolato La tribù dei dannati, primo numero di una storia doppia che terminerà il mese prossimo. Ai testi abbiamo il veterano Pasquale Ruju e ai disegni l’altrettanto veterano Alfonso Font.

La tribù dei dannati – Tex n.708
Soggetto e sceneggiatura: Pasquale Ruju
Disegni: Alfonso Font
Copertina: Claudio Villa
Su Tex devono averci preso gusto con i sequel di recente, visto che anche stavolta ne abbiamo uno. Alcuni anni fa è uscita Mezzosangue, una doppia storia sempre di Ruju e Font che raccontava la storia di Makua, un giovane pistolero in parte Mescalero e in parte bianco, che diventava allievo del bieco trafficante Santos, con il quale si è messo in società. Il suo animo però non è marcio come quello del maestro e, durante lo scontro finale, Makua ammette le proprie colpe e finisce in carcere scortato da Tex e Carson.
In effetti questa domanda ogni tanto mi frulla in testa: in diverse storie di Tex ci sono dei presunti antagonisti che, sul finale, si ravvedono e passano dalla parte dei buoni o, come Makua, accettano silenziosamente il proprio destino, consci delle malefatte compiute. Cosa accade, però, a questi personaggi? Com’è la loro vita dopo? Riescono a rifarsi una vita? Il passato torna a cercarli? Non si sa, principalmente spariscono per non farsi più vedere.

Ecco invece che si fa nuovamente vedere Makua. Scontati alcuni anni in carcere, il giovane mezzosangue torna in libertà e fuori dal carcere trova ad attenderlo Tex Willer, il quale ha creduto nella buona volontà del ragazzo sin da subito e gli pone una scelta: seguirlo, oppure andarsene verso un destino ignoto. Makua accetta di seguirlo e Tex lo conduce in una tribù composta da indiani di varie nazioni dove tutti vivono in pace e in armonia. Makua si ambienta subito e sembra anche trovare l’amore, ma il dramma è in agguato. Qualcuno trama nell’ombra per spazzare via la tribù e Makua sente forte il richiamo delle armi per fare vendetta. Ovviamente Tex e Carson non possono restare a guardare.

Quello degli indiani oppressi dai bianchi è un evergreen del fumetto e del cinema western, uno di quei temi con i quali si va letteralmente sul sicuro e infatti Ruju non sbaglia il colpo.
Trama semplice e lineare come lo sceneggiatore sardo ci ha abituati, ma non per questo noiosa o totalmente scontata. Certo, la classicità estrema della trama fa sì che, almeno per il primo albo, Ruju non metta in mezzo particolari guizzi di genio e, in sostanza, butta sul groppone di Makua l’intero peso della storia, costruendola attorno a lui, mentre a Tex e Carson finora non spettano ruoli di particolare rilievo.
A parte questo, Ruju prosegue con tutto il mestiere costruito in una carriera più che ventennale fra le pagine di Tex e Dylan Dog e ci dà dentro con il melodramma (ovviamente in salsa western) come solo lui sa fare. Sempre una garanzia, insomma.

Versante disegni. Mi dispiace, ma stavolta è no. Intendiamoci, io non appartengo certo alla schiera dei detrattori di Font ad ogni costo, anzi, credo di averne sempre elogiato i meriti anche se ritengo che il suo stile spigoloso e stilizzato poco si adatti alle atmosfere di Tex.
Stavolta però non è più questione di essere adatti o meno, è questione che Font ha sterzato bruscamente verso una stilizzazione ancora più marcata dei personaggi (da non confondersi con la sintesi tipica di maestri come Parlov o Milazzo, per carità), con figure, quella di Tex inclusa, che assumono tratti quasi grotteschi.
Mi piace pensare che si tratti di una questione dovuta alla rapidità d’esecuzione (la sua ultima storia sul mensile risale ad un paio d’anni fa e nel frattempo ha realizzato anche la storia breve di Giorgio Giusfredi contenuta nell’ultimo Tex Magazine e lo rivedremo sul Color Tex di storie brevi di imminente uscita), perciò si potrebbe anche soprassedere. Se invece si trattasse di una precisa scelta stilistica, beh, in quel caso potrebbero sorgere dei problemi, visto che, pur con tutta la mia buona volontà, non sono affatto riuscito a farmela piacere.

Quindi niente: per ora direi che si tratti di una storia riuscita a metà. Anzi, un po’ meno della metà. Sì, perché se me la butti su una tematica così classica e vista più volte (per quanto raccontata bene, sia chiaro), io mi aspetto che ciò venga compensato da degli ottimi disegni, che non è ciò che ho trovato qui.
Pollice a metà strada, dunque, e il prossimo mese vedremo in che direzione voltarlo.
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