Groucho Primo – DYD Color Fest n.30

Scritto da Manuel Enrico

16 Ago, 2019

La comicità è una cosa seria. Saper far ridere, trovare il giusto tempismo per stuzzicare le corde emotive di chi sta di fronte al comico è un’arte vera e propria, spesso sottovalutata. Ci sono delle regole, come in ogni disciplina, ma anche una componente emotiva ed individuale che aggiunge ad una fredda serie di regole quell’elemento di colore che differenzia tra loro i comici.

Ma c’è una regola della comicità, forse la più complessa, che mi ha sempre affascinato, ovvero il tempismo. A volte basta un nulla, una frazione di secondo per trasformare una battuta vincente in un sorrisetto stiracchiato. Il tempismo (o meglio, il tempo comico) richiede una sinergia tra situazione e spirito della battuta. Tanto più la situazione è intensa e tesa, tanto più è necessario esser chirurgici nello sparare la battuta vincente. Si diventa cecchini della risata, insomma.

 

 

Groucho Primo – DYD Color Fest n.30

Da quando ho iniziato a leggere Dylan Dog (e sono parecchi anni fa, oramai), ho sempre cercato di capire il segreto di Groucho. L’assistente di Dyd è l’elemento comico per eccellenza, con la sua irrefrenabile comicità, che spazia dall’ironia all’assurdo, il vero punto di rottura di situazioni altrimenti intense e forse troppo ardue da gestire per un lettore. La simbiosi tra Dyd e Groucho è, probabilmente, una delle più riuscite del panorama fumettistico nostrano, difficilmente riproducibile.

Almeno fino all’uscita del trentesimo Dylan Dog Color Fest, Groucho Primo. Nella lunga tradizione bonelliana, le spalle dei personaggi principali delle testate hanno spesso avuto l’onore di avventure individuali (dal Baginov di Nathan Never a Cico di Zagor, oltre lo stesso Groucho), un modo particolare di rendere onore a questa importante figura. Casualmente, ho citato tre personaggi che sono stati, in modo differente, le spalle comiche dei titolari della testata.

Groucho Primo, però, ha il merito di esser un volume pensato interamente per dare pieno riconoscimento a Groucho. Pur contenendo due storie già presenti nel Grouchonomicom, siamo di fronte ad uno speciale che merita di esser letto perché per la prima volta affronta direttamente il vissuto e l’animo di questo curioso personaggio. Un trionfo che in copertina viene celebrato da un’espressione divertita realizzata da quel mostro di bravura di Fabrizio de Tommaso, che ne raccoglie pienamente lo spirito, tanto nell’espressione facciale che nel linguaggio corporeo.

Sicuramente lettori più affezionati di me sapranno ricordare tutti i numeri di Dylan Dog in cui si citano il passato di Groucho, ma nella mia personale esperienza il suo nebuloso passato è sempre stato un elemento essenziale del suo fascino. La somiglianza ostentata con il celebre comico è ovviamente una delle carte vicenti del personaggio, ma questa assenza di un passato, di una propria identità è al contempo intrigante ed inquietante.

 

 

Le regole della comicità

Soggetto e sceneggiatura: Alessandro Bilotta

Disegni: Sergio Ponchione

Colori: Luca Bertelè

Con Le regole della comicità, ci addentriamo proprio in questo territorio ignoto. Per una storia così introspettiva era necessario un autore particolarmente portato, capace di rispettare i punti fermi del personaggio spingendosi verso una nuova direzione. A mio avviso, solo Alessandro Bilotta può avere questo dono, visto come ha saputo inserire un’analisi del supereroe all’interno di un’opera storica quale Mercurio Loi (recuperare il secondo numero, anzi recuperate tutto Mercurio Loi e piangete per la sua chiusura).

Scopo di Bilotta è smontare la maschera di Groucho per rivelarne la vera natura. Un intento che magistralmente Sergio Ponchione professa con la prima tavola, in cui troviamo il tipico abbigliamento di Groucho sul letto, catalogato con accuratezza dalla voce fuori campo del personaggio. Peccato che siamo in un fumetto, sarebbe stato curioso vedere se anche la voce, in questo momento particolare, avesse una diversa inflessione, un qualcosa di differente che lasciasse emergere il vero animo dietro la maschera.

E sarebbe stato funzionale alla storia, dato che Bilotta intende mostraci la realtà dietro la maschera. Ma c’è realmente qualcosa? Per tutto il racconto di Bilotta, la sensazione è che manchi una vera e propria personalità dietro baffi e sigaro. Intelligente il portare in scena, sempre in chiave grouchiana, la sua vecchia insegnante di storia e filosofia del liceo, apparentemente in profonda crisi, al punto che sta letteralmente andando a pezzi. Idea geniale, mostrare una persona a pezzi per ridurre ai minimi termini Groucho, cercando di inserire piccoli richiami all’adolescenza dell’uomo noto come Groucho, rifacendosi all’opinione dell’insegnante. Personaggio affascinante, la professoressa, capace di andare oltre la maschera del suo vecchio alunno, sferzandolo con precisi richiami e critiche trancianti che hanno il merito di scuotere profondamente Groucho.

 

 

Bilotta non vuole portare Groucho verso una nuova identità di sé, ma metterlo, spietatamente, di fronte alla realtà della propria esistenza. Non c’è un finale leggero, non facciamoci ingannare dal tono divertente. Alla fine, emerge l’amarezza di una persona insicura e fragile, che trova la propria forza nell’imitare un attore dimenticato dai più, accettando di non esser un grande attore, ma un uomo che si attacca disperatamente alla propria mediocrità per non cedere al senso di fallimento. Bilotta, nel fare questo, ci ha donato il Groucho più umano e delicato letto negli ultimi anni, andando oltre il semplice personaggio per presentarci un uomo semplice, reale.

Complice Sergio Ponchione, che riesce a conciliare un tratto cartoonesco e dal sapore retrò con una delicata cura nel ritrarre le espressioni facciali. Questo contrasto tra proporzioni ridicole, perfette per suscitare l’ilarità, e l’emotività più concreta diventa il mezzo ideale per tratteggiare la divertente e toccante storia di Bilotta.

Le regole della comicità è la storia più appassionante e riuscita di questo volume.

 

 

Per un pugno di like

Soggetto, sceneggiatura, disegni e colori: Riccardo Torti

È poi il turno di Per un pugno di like, firmato da Riccardo Torti. Torti trasla la figura di Groucho all’interno del mondo dei social media, un richiamo alla dimensione più recente del canone di Dylan Dog. Il passaggio non è semplice, la comicità tipica di Groucho non emerge con altrettanta vitalità. Potrebbe sembrare che Groucho abbia perso il suo smalto, ma la visione che se ne ha è quella della perdita di spontaneità di fronte all’esigenza social di apparire, più che essere.

Idealmente, il secondo racconto si inserisce nella riga della storia di Bilotta, con cui condivide la mancanza di un personalità forte dietro la maschera di Groucho. Torti non si limita a mostrare la deriva di Groucho, ma punta il dito, tramite il baffuto personaggio, ad una tendenza generale a cui tutti noi andiamo sovente incontro: cosa non farei per un like? La separazione tra la personalità reale e quella fittizia a beneficio sociale è interpretata in modo serio da Torti, che non rinuncia alla comicità del personaggio, ma la attenua in favore di una narrazione sincera e solida.

 

 

Groucho-con

Soggetto e sceneggiatura: Tito Faraci

Disegni: Silvia Ziche

Colori: Erika Bendazzoli

Dopo questa lettura dal retrogusto amaro, Tito Faraci e Silvia Ziche offrono una divertente storia breve con protagonista un assassino vendicativo. Pur con toni leggeri e ancor più comici dei precedenti racconti, Groucho-con continua a scavare nell’animo del personaggio, mettendo in analisi la sua imitazione del celebre comico come metodo di costruire una propria identità, la ricerca della sua comicità. L’imitazione fine a sé stessa non è una forma d’arte, o di abilità individuale, ma è un’occasione per rielaborare il concetto dell’originalità di un personaggio. Un invito che non si limita al solo Groucho, ma anche ai diversi autori dylaniati che avranno modo di cimentarsi con il personaggio, mantenendo una tradizione con la figura di Groucho che abbia anche spazio per sprazzi di novità.

 

 

Recchioni, attuale curatore di Dylan Dog, aveva espresso una personale visione di Groucho, ritenendolo inquietante nel suo modo di interagire con l’Investigatore dell’incubo. Per quanto in alcuni frangenti della storia editoriale di Dyd si possano trovare i presupposti di questa idea di Recchioni, la vera inquietudine della figura di Groucho è la sua sorprendente familiarità con l’uomo medio, nella sua ricerca di un’identità e di un modo di sentirsi realizzati, completi. A conti fatti, romanticamente siamo cresciuti da ragazzini volendo esser Dylan Dog, ma la vita matura ci ha insegnato quanto siamo più vicini ad esser Groucho. La sola domanda, ora, è se saremo altrettanto coraggiosi nell’accettarci, magari con una risata liberatoria.

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