Da pochi giorni è arrivato in edicola Cinnamon Wells, il nuovo Tex d’autore, edito dalla Sergio Bonelli Editore, ennesimo volume della collana semestrale che propone albi in formato francese: grande formato, pagine in carta lucida a colori e griglia libera. Ai testi troviamo il celebre sceneggiatore americano Chuck Dixon e ai disegni un nome già noto a questa serie, Mario Alberti, il quale ha già lavorato al secondo cartonato intitolato Frontera del 2016.
Cinnamon Wells – Tex alla francese n. 8
Soggetto e sceneggiatura: Chuck Dixon
Disegni e copertina: Mario Alberti
Personalmente amo moltissimo questa serie cartonata e a colori. Pur essendo uno strenuo cultore del bianco e nero, ritengo che questa collana abbia continuamente sfornato una serie di gioielli un più bello dell’altro. Aldilà del primo, e discusso, albo di Serpieri che ha dato il via alla serie e della riproposizione de Gli sterminatori di Bonelli e Galep nel 2017, la serie ha proposto Tex in una versione inedita e originale, con storie di 46 pagine dal ritmo forsennatissimo e con un’impostazione grafica diversa dal solito.
Un monito per dire che chiunque intenda approcciarsi a questa serie con lo stesso spirito con cui aprirebbe un albo del mensile farebbe meglio a passare subito oltre. Questo non è il solito Tex, non è il fumetto a cui tutti siamo abituati. Si tratta di qualcosa di diverso. Non migliore, non peggiore: diverso. Se poi per qualcuno la parola diverso ha una connotazione negativa, quello non è un problema mio, ma suo.
Sinossi: una banda di rapina fa incetta di soldi nella banca di Cinnamon Wells e fugge verso il deserto. Tex, giunto per caso in città, si mette a capo di una posse per inseguire i criminali.
Solitamente per le mie recensioni inizio parlando del soggetto e della sceneggiatura e poi parlo dei disegni. Questa volta faccio l’opposto.
Mario Alberti non è semplicemente un disegnatore di fumetti, bensì un artista di fama internazionale che ha lavorato sia per la Francia (dove il formato qui presente è la norma) che per gli Stati Uniti, per la precisione per la DC Comics, nient’altro che la casa editrice di Superman e Batman. E in Italia ha lavorato per Nathan Never ai tempi in cui il Musone di casa Bonelli vendeva qualcosa come 200.000 copie al mese e anche di recente ha dato il suo contributo al portabandiera della fantascienza nostrana.
Qui il suo lavoro è leggermente diverso rispetto a quello presentato in Frontera. Benché siano passati pochi anni, lo stile di Alberti si è fatto più sporco e stilizzato, raggiungendo un livello di sintesi che, per certi aspetti, ricorda il lavoro svolto dal maestro Ivo Milazzo, sicuramente il caso più emblematico del genere. Senza dubbio l’approccio iniziale può lasciare disorientati, soprattutto perché questo tipo di stile lascia sempre una generale sensazione di tirato via, cosa che invece non è. Anzi, il lavoro di ricerca stilistica di questo albo è di altissimo livello e rappresenta solo l’ultimo punto di un percorso di crescita di un artista di fama internazionale.
Mettiamocelo in testa: Alberti non è uno di quegli onesti mestieranti (categoria più che apprezzabile, sia chiaro) che stanno rinchiusi in casa a macinare tavole e su tavole: Alberti è un artista di razza, un intellettuale del disegno, uno che passa la vita alla ricerca di qualcosa, il segno perfetto, che inevitabilmente non trova mai.
Aldilà di queste considerazioni, l’operato di Alberti su Cinnamon Wells rimane inattaccabile: la regia delle scene e l’impostazione della tavola godono dell’esperienza che il disegnatore triestino ha maturato su serie come Morgana e Redhand pubblicate dai tipi di Les Humanoides Associés. Il lavoro di sintesi e di composizione della pagina non hanno minimamente influito sul concetto di leggibilità che in Bonelli è una regola ferrea.
Se proprio vogliamo trovare un difetto nel lavoro di Alberti, c’è da dire che in alcuni frangenti ha fatto recitare un po’ troppo alcuni personaggi rendendoli quasi al limite del caricaturale, ma questa è una considerazione prettamente personale.
E ora veniamo alla storia. Che, spiace ammetterlo, ma è il punto debole dell’intero volume.
Chuck Dixon è una celebrità nel fumetto statunitense: dopo gli esordi negli anni ’80 su Eclipse Comics è passato alla DC dove, oltre a Robin, ha scritto lunghe run per Batman, divenendone in breve tempo uno degli autori più amati. Oltre a vari lavori su diverse testate, ha debuttato su Tex nel 2017, scrivendo la storia breve Terrore fra i boschi contenuta nel Tex Magazine di quell’anno con protagonista Kit Willer.
Naturalmente c’era molta attesa per il suo esordio con una storia su una collana così prestigiosa e che avesse il ranger come protagonista principale.
Purtroppo, duole riconoscere che il lavoro di Dixon non convince come avrebbe dovuto.

SPOILER (se non avete ancora letto il volume, passate oltre)
Se lo spunto è classico, l’evoluzione della vicenda lascia molto perplessi: a un certo punto i rapinatori fuggono nel deserto e la posse decide di punto in bianco di rinunciare all’inseguimento lasciando perdere i propri soldi e permettendo a Tex di proseguire da solo con un compagno. Ed è a questo punto che le cose diventano complicate: prima di tutto, i banditi abbandonano nel deserto un loro compagno che ha perso il cavallo e fuggono. Poi subentra una seconda trama, totalmente slegata dalla prima, che riguarda il tentativo di far deviare la ferrovia verso le terre di un losco figuro. Tex, rimasto senza pard, si incontra con il bandito messicano, un incontro la cui influenza sulla trama è pressoché minima. Salvato un gruppo di pionieri dalla sete, Tex e il bandito si scontrano e quest’ultimo viene ucciso. A questo punto, il ranger si riunisce a Carson e rimpiange di non aver potuto mettere le mani sui banditi fuggiti. Questi ultimi, vengono traditi dal loro compagno Apache che li consegna ai propri amici indiani.
Insomma, una storia complicata con diverse sottotrame del tutto indipendenti che non hanno ragione di esistere nello stesso albo, eventi dalla dubbia economia narrativa e un finale vagamente raffazzonato che lascia più di un interrogativo.
FINE SPOILER
Non c’è dubbio che Dixon ami Tex, ma viene da chiedersi dove intenda andare a parare con questa storia. Lo spunto iniziale viene completamente disatteso e si sarebbe potuta concentrare l’intera vicenda sulla deviazione della ferrovia.
Probabilmente questo albo è da intendersi come l’omaggio di un grande autore ad un ancora più grande fumetto, ovviamente con la consapevolezza che non può essere la stessa cosa di uno cresciuto a pane e Tex.
Insomma, se i disegni di questo volume sono semplicemente strepitosi, altrettanto non si può dire della storia che presenta più di un difetto.
Peccato, ma a Dixon si può perdonare la sua scarsa esperienza sulle pagine del ranger, dato che è la sua seconda storia sulla lunga distanza. Immagino che continuerà ad essere una guest star di lusso, ma è anche vero che la sua dimestichezza aumenterà ad ogni avventura [n.d.r. sta effettivamente già scrivendo un’altra storia di Tex].
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