Abbiamo atteso qualche giorno per preparare la recensione di Johnny il selvaggio, il finale della nuova storia di Tex iniziata il mese scorso con Cuore Apache già recensito su queste pagine. I testi sono del veterano Pasquale Ruju, autentico mattatore di questa prima metà del 2018, anno del settantennale di Tex, mentre ai disegni troviamo il greco Yannis Ginosatis.
Johnny il selvaggio – Tex 692
Soggetto e sceneggiatura: Pasquale Ruju
Disegni: Yannis Ginosatis
Copertina: Claudio Villa
Il motivo per cui ho deciso di aspettare a scrivere la recensione sta tutta nel fatto che, dopo averli letti separati, ho deciso di rileggere tutta la storia per intero, cosa che in genere non faccio quasi mai, perlomeno a così breve distanza, tranne che con le storie che mi hanno colpito per qualcosa in particolare.
La faccio breve: io ho adorato alla follia ogni singola pagina di questa storia. Sono 220 pagine che trasudano dramma e disperazione sin dalla mastodontica apertura di Cuore Apache e che sembrano consigliare al lettore Fai attenzione, questa non è una delle solite storie, tieni i fazzoletti a portata di mano.
Non siamo di fronte a un capolavoro, questo no, anzi, la vicenda in quanto tale ha più di un difetto, sia formale che sostanziale, ma tutti i difetti, per quanto presenti, spariscono di fronte alla grandezza di tutto il resto.
Pasquale Ruju compie il miracolo e realizza quella che è la sua Il giuramento, la sua El Muerto, la sua Il passato di Carson, la sua Furia Rossa, la sua… sì, insomma, avete capito. Non sto dicendo che questa storia è pari o, oso, superiore, assolutamente, dico solo che questa storia ha, o avrà, la stessa valenza che le storie sopra citate hanno avuto per i loro autori. Questa è l’avventura che consacra definitivamente Pasquale Ruju come uno degli autori di Tex.
Attenzione: come uno degli autori e non come uno degli sceneggiatori, perché questo lo è già! Ruju riesce là dove uno sceneggiatore bravissimo come Antonio Segura ha miseramente fallito e dove anche un genio del fumetto come Tito Faraci non si è neppure avvicinato: ha scritto una storia dura, per niente consolatoria, dove non ci sono vincitori e dove persino Tex e Carson escono (quasi) da perdenti.
Per scrivere la storia che aveva in mente, Ruju ha dovuto forzare molti dei cliché abituali di Tex, come il fatto che alla fine i nostri eroi vincano sempre, che i cattivi vengono puniti per le loro malefatte e che alla fine il Bene trionfa sempre sul Male.
E Ruju l’ha fatto e l’ha fatto benissimo. Certo, non è tutto perfetto: alcune scene risultano un po’ forzate e la necessità di chiudere la storia nei due albi previsti obbliga Ruju a tagliare tutto l’aspetto spiegazionista, ovvero del perché i personaggi agiscono in un certo modo e così via, per tenere un ritmo serratissimo dall’inizio fino alla fine.
Sia chiaro, questo per me non è affatto un difetto, anzi. Alla fine il fumetto è fatto anche di questo: di gestione del tempo, del ritmo, dello scandire le scene che compongono la narrazione. Un fumetto non è e non può essere una rappresentazione del reale in scala 1:1, anche se a certi lettori pare piaccia vedere Tex che bivacca bevendo caffè con Carson per dieci pagine di fila.
Un difetto vero, questo sì, è stato quello di sbattere Cochise, il celebre capo Apache, in copertina nel primo albo e poi farlo comparire in una manciata di pagine. Data la sua presenza nell’epica cover di Villa nel volume di maggio, mi aspettavo un suo ruolo molto più attivo.
E per voi? Come è stata questa doppia di Tex? Parliamone nel gruppo facebook L’avventura a fumetti da A(dam) a Z(agor)!
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