Chi dice Napoli, dice Eduardo de Filippo, e per imbastire il mio ragionamento intorno al magazine ricciardiano mi piacerebbe prendere le mosse da una mitica battuta letta tempo addietro nella commedia Questi fantasmi!
In un appartamento infestato dagli spettri, il portinaio dello stabile, don Raffaele, attende l’arrivo dei nuovi inquilini, ma insiste con i facchini affinché non lo lascino solo neppure per un momento. A un certo punto, meravigliato da tanta insistenza, uno dei facchini domanda:
Facchino: “Ma voi perché non volete rimanere qui da solo?”
Raffaele: “Questi sono affari che non vi riguardano! Se lo volete sapere, soffro la solidarietà!”
Il Commissario Ricciardi Magazine 2018
Dieci centesimi
Soggetto: Maurizio de Giovanni
Sceneggiatura: Sergio Brancato
Disegni: Daniele Bigliardo
Partire e lasciare
Soggetto: Maurizio de Giovanni
Sceneggiatura: Paolo Terracciano
Disegni: Alessandro Nespolino
Un mazzo di fiori
Soggetto: Maurizio de Giovanni
Sceneggiatura: Paolo Terracciano
Disegni: Lucilla Stellato
Febbre
Soggetto: Maurizio de Giovanni
Sceneggiatura: Claudio Falco
Disegni: Luigi Siniscalchi
Ecco. Luigi Alfredo Ricciardi è affetto dallo stesso identico male: soffre la solidarietà, e per di più in una forma che è al tempo stesso cronica e acuta. La diagnosi può essere formulata a partire dal primo dei quattro racconti di cui si compone questo magazine, Dieci centesimi, che getta un fascio di luce sui trascorsi ricciardiani, svelandoci quale retroscena abbia condotto il commissario in seno alla Regia Questura di Napoli.
Ricciardi non è il solo ad accusare i sintomi della suddetta malattia, provante sì, ma quanto bella! Se è vero che “umana cosa è l’avere compassione degli afflitti”, allora umanissimi appariranno anche il dottor Modo e il brigadiere Maione, rispettivamente protagonisti del secondo e del terzo racconto, Partire e lasciare e Un mazzo di fiori, sceneggiati da Paolo Terracciano, che infatti conferma:
«I due racconti sono sicuramente venati di tristezza. In questo caso il male non è però rappresentato da un delitto, ma dalla malattia, ed è quindi per certi versi un male ancora più angosciante, perché può toccare davvero tutti. Nello stesso tempo, il comportamento di Modo e Maione, come quello degli altri personaggi dei due racconti, il “ladro” di “Un mazzo di fiori” e la mamma di “Partire e lasciare”, sono così ricchi di pietà umana da trasmettere grande speranza».
A spiegare la fortuna del commissario di Maurizio de Giovanni non basta l’appartenenza a un genere – quello del noir all’italiana – che da Montalbano in avanti ha potuto mietere succosissimi frutti. La fortuna di Ricciardi si spiega anche, se non soprattutto, con la sua capacità di far leva sulla parte migliore di ognuno: la più umana, la più simpatetica, la più compassionevole.
Conservare intatti gli animi più veri e profondi della narrativa di de Giovanni in racconti di appena 32 tavole deve essere stata una sfida non dappoco, e proprio per questo il risultato finale va a maggior gloria degli sceneggiatori e degli illustratori che vi hanno preso parte. Riadattare un romanzo servendosi di un mezzo espressivo diverso da quello originario è sempre un azzardo, ma in questo caso il colpo viene mandato a segno: la piazza del Plebiscito disegnata da Nespolino, la tavola a tutta pagina in cui la Stellato ci mostra il quartiere di Santa Lucia, la stazione di Napoli centrale vista con gli occhi di Bigliardo, le palazzine sgarrupate di vico della Speranzella tratteggiate da Siniscalchi, reggono perfettamente il confronto con descrizioni di tipo più romanzesco, risultando – peraltro – altrettanto evocative.
Le difficoltà sollevate dal passaggio da un mezzo espressivo all’altro sono richiamate da de Giovanni nella ghiotta e corposa introduzione che apre il magazine:
«Quello che, come scrittore, posso rendere attraverso la narrativa è, in primo luogo, proprio l’interiorità dei personaggi. Ne racconto i sentimenti, più che le azioni. Quando, invece, si lavora sui linguaggi visivi, è necessario affidare l’interiorità alle espressioni dei personaggi, ai loro volti e alle loro interazioni. Così, il commissario Ricciardi a fumetti non è la traduzione della mia inventiva letteraria, ma la traduzione di quanto io avevo immaginato in un’altra fantasia».
Gli illustratori della fucina ricciardiana non traspongono, traducono. Chi traduce deve, per forza di cose, leggere a fondo, ruminare ben bene, arrivare al cuore di quanto ha letto. Quando la traduzione riesce, la fantasia dell’autore non viene spodestata o rimpiazzata da quella del traduttore, ma potenziata e arricchita.
Dopo le felici sperimentazioni cromatiche delle due uscite precedenti, si ritorna a un rigoroso B/N, ma ben venga, se serve a valorizzare le spettacolari ombreggiature di Daniele Bigliardo. In ognuno dei quattro episodi, immagini, fatti e dialoghi stabiliscono una potente e virtuosa sinergia, integrandosi e spiegandosi gli uni con gli altri, sino a fare del Commissario Ricciardi un riadattamento impeccabile, oltre che un’innegabile goduria per gli occhi.
La serie è una delle operazioni più interessanti nel cantiere di casa Bonelli. Credo abbia ancora molti colpi in canna, e difficilmente deluderà le attese.
E ovviamente raggiungeteci nel gruppo Facebook: L’avventura a fumetti da A(dam) a Z(agor).
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