Dopo essere tornato ad una lettura più continua di Martin Mystère provo (sempre senza pretese di essere esaustivo) a dare le mie impressioni su Il Dio che venne dal mare ora in edicola per il bimestre aprile-maggio 2018.
Se lo scorso numero (Le strane morti del Signor Max) mi aveva convinto con un trama che pur ricalcando meccanismi già visti (ma questo in realtà non è un male di per sé, anzi la tradizione risponde spesso alle aspettative del lettore) si svolgeva in modo mysterioso e recuperava con buone intuizioni vicende del passato di Martin, questo numero non mi ha particolarmente conquistato. Provo ad evidenziare quello che non funziona per me.
Il Dio che venne (o venuto?) dal mare – Martin Mystère 356
Soggetto e sceneggiatura: Enrico Lotti
Disegni: Paolo Ongaro
Copertina: Giancarlo Alessandrini
La parte newyorchese iniziale è forse troppo lenta e si basa su di un presupposto: il numero uno di Martin Mystère abbandonato nelle acque del Pacifico che resta solo come una strizzatina d’occhio metafumettistica al lettore: tutta la primissima scena ricalca perfettamente per inquadrature, personaggi, battute la scena della barca con la donna che prende il sole e de Gli Uomini in nero, il mitico numero uno della serie e le ultime vignette dell’ultima tavola vorrebbero chiudere la struttura narrativa in modo circolare ma il tutto resta per me troppo scollato dalla vicenda principale e quindi un po’ pretestuoso. Divertente e allegro (e Lotti ha dichiarato che questo era lo scopo principale di questa storia che ha scritto per altro molti anni fa, sette…), una strizzatina d’occhi tra vecchi amici ma anche ridondante. Per altro la citazione del numero uno continua anche con l’altra scena prologo successiva quando quello che poi si scoprirà essere un agente segreto scappa, ha paura di qualcosa che lo possa inseguire, si prende in giro per questa eccessiva paura e poi va davvero incontro alla morte: è quello che accade al povero Morel sempre in MM 1.
Un altro passaggio debole o che rallenta è la fase iniziale dello sbarco a Tanna con la sezione etnografica nella spiegazione dei rituali dell’isola. Poi però la storia ha delle buone impennate di ritmo e azione che a volte fanno gridare al macchecosa??? e che vedono il ritorno di personaggi che il lettore del passato più o meno recente di MM può apprezzare per colpi di scena un po’ forzati verso il crescendo finale con tanto di esplosione (che cita ancora forse MM1).
Dal punto di vista dei testi Lotti decide di tenere un registro tra il comico e il B-movie e considerato questo come obiettivo ci riesce anche a costo di risultare a volte ripetitivo (le battute sulla divinità di Maytimistele sono ad abundantiam e alcuni intercalari nel giro di poche vignette sono un’altra spia di questa tecnica: ad esempio a pag. 110 Martin dice «Un bel bestiario dell’orrore» e a pag. 111 Diana gli fa eco dicendo: «una fabbrica degli orrori» per commentare di fatto la stessa cosa).
Il fronte disegni non mi ha entusiasmato soprattutto nelle scene marine (gli squali mi sono parsi molto abbozzati) e negli sfondi delle vignette, ma senza che questo rovini la lettura. Ongaro sa aiutare la narrazione e non fa confondere il lettore, questo va detto.
Insomma un numero che ha alti e bassi e che forse chiede troppo di ragionare sulla citazione e sul metafumetto rischiando di diventare a mio avviso un lavoro a volte manierastico o forse autoreferenziale. Ma forse il fatto che la storia si stata pensata e scritta molti anni fa ne ha ridotto l’impatto ed la questione della distanza temporale tra ideazione e pubblicazione di un albo per una serie di lunga durata è un fattore non facile da risolvere ma che può anche avere esiti non totalmente positivi.
Ed ora attendiamo giugno con una storia del compianto Paolo Morales per i disegni degli Espoisito Bros e di De Cubellis. Buona attesa!
E ovviamente raggiungeteci nel gruppo Facebook: L’avventura a fumetti da A(dam) a Z(agor).
Analisi interessante. Ci sarebbe da approfondire. Che ne dici di venire nel forum? 🙂 https://agarthi.forumfree.it/?t=75371804&st=45