La vendetta di Gambit – Color Zagor n.9 (agosto 2019)

Scritto da Francesco Benati

12 Ago, 2019

Come ogni agosto, ecco arrivare sotto l’ombrellone il nuovo Color Zagor intitolato La vendetta di Gambit, un volume di 132 pagine tutte a colori uscite sotto l’egida della Sergio Bonelli Editore. Ai testi troviamo il veterano Jacopo Rauch, mentre i disegni sono affidati ad un’altra colonna portante della serie come Massimo Pesce.

Come sempre più spesso accade nella saga zagoriana, ci tocca fare un grande riassuntone delle puntate precedenti, anche se parliamo di un albo totalmente autoconclusivo: Gambit è una bionda avventuriera e giocatrice d’azzardo che ha incrociato la pista di Zagor in più di un’occasione. Nata dalla penna di Mauro Boselli quando era curatore della serie, è apparsa finora in quattro avventure e il suo rapporto con Zagor va oltre il banale flirt fumettistico. Le relazioni dello Spirito con la Scure sono sempre state abbastanza vaghe e caste, ma con Gambit è universalmente assodato che ci sia stato qualcosa di più di un semplice bacio.

 

 

La vendetta di Gambit – Color Zagor n.9

Soggetto e sceneggiatura: Jacopo Rauch

Disegni: Massimo Pesce

Colori: GFB Comics

Copertina: Alessandro Piccinelli

Sinossi: Zagor riceve una missiva firmata da un certo Rufus che lo informa che Gambit è in pericolo e che deve recarsi immediatamente a Golden Island per aiutarla a togliersi dai pasticci o per impedire che commetta qualche sciocchezza. Zagor, in compagnia dell’amico Cico, raggiunge il luogo e prima ha un incontro-scontro con Tre Mani, indiano rinnegato della tribù dei Penobscot, poi viene fatto prigioniero e portato al cospetto di Henry Raven, grande boss di Golden Island, il quale si rivela essere una donna di nome Henrietta. Lì viene a sapare che Gambit è sparita da cinque giorni e decide di mettersi sulle sue tracce. Ma perché Gambit si è recata a Golden Island? Cosa si nasconde nel suo passato?

Lo ammetto: arrivato a metà di questo albo ero già pronto con la stroncatura secca. Va bene che Zagor non può presentare sempre trame mirabolanti ricche di effetti speciali, ma offrire ai lettori una trama così trita e ritrita, senza un guizzo d’originalità mi sembra eccessivo. Da uno come Rauch, che finora non mi ha praticamente mai deluso, mi aspettavo molto di più. Poi ho terminato l’episodio e mi sono dovuto ricredere completamente.

 

 

Dopo centinaia di albi tra mensile e speciali vari, è sempre più difficile inventare trame nuove e originali. Anzi, praticamente impossibile. Rauch infatti non inventa nulla, ma la sua variazione sul tema (la città dei banditi, il ricco prepotente di turno, una vendetta misteriosa), specialmente nella seconda parte, risulta essere vincente.

In primo luogo, Henry Raven, in realtà Henrietta. Poi tutta l’evoluzione della vicenda di Gambit, che prosegue secondo i binari classici del genere per poi sfociare nel colpo di scena finale, colpo di scena tutt’altro che originale, ma servito nei modi e nei tempi giusti. Le parti in gioco si mescolano, gli avversari diventano alleati e così via. Tutto già visto, tutto già scritto, ma comunque è fatto molto bene.

La vicenda, semplice e lineare come vuole la tradizione del Color, è sostenuta con un buon ritmo sfrutto di anni di esperienza, con il giusto spazio dato ad ogni personaggio.

Menzione d’onore per Henrietta, bruna tutto pepe che spero di rivedere nuovamente in qualche storia futura. Parte come una versione al femminile del classico ricco megalomane con delirio di onnipotenza, poi sterza subito verso una figura più complessa e a tutto tondo. Non era facile, non con così poche pagine a disposizione.

Meno convincente la figura di Tre Mani, ma l’indiano voltagabbana si ritaglia comunque un suo spazio e immagino che ce lo ritroveremo nuovamente in mezzo a qualche storia.

 

 

Nella media Massimo Pesce, il quale, da specialista in fatto di donne, non lesina gambe scoperte, decolleté generosi e pose sensuali. La sua rappresentazione di Zagor può non convincere tutti i lettori, specialmente quelli più tradizionalisti e legati a un certo tipo di segno, ma non si può negare che con la matita sappia il fatto suo. Purtroppo il suo segno perde incisività e profondità per via del colore, ma Pesce guadagna comunque la vittoria, soprattutto grazie alle ottime scene d’azione, con menzione d’onore alla pagina 91.

Come sempre, il colore è la nota più dolente di tutto l’albo: banale riempimento degli spazi vuoti, funzionalità narrativa rasente allo zero.
Personalmente fatico a comprendere come in Bonelli si ostinino a realizzare i Color con questo stile, specialmente ora che la colorazione digitale ha raggiunto livelli ottimi come quelli visti in Orfani, nei cartonati di Tex o, recentemente, in Zagor: Origini. L’unica spiegazione che mi do è che si tratti di un modo per contenere i costi, perché altrimenti non saprei proprio cosa dire.

 

Applausi a scena aperta per Alessandro Piccinelli e la sua ottima copertina: la Gambit da lui realizzata è sicuramente la più bella e sensuale mai vista finora.

Insomma, un Color Zagor nella media (buona) della collana che conferma le abilità di sceneggiatore di Rauch e la solidità di un disegnatore come Pesce.
Riguardo al colore, però, bisognerà trovare il modo di cambiare registro, perché questo tipo di colorazione è stata sorpassata dai tempi.

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