Federico Fellini, fanciullino sempiterno, bamboccione reverendissimo, in una delle ultime interviste rilasciate s’era detto “convinto che se alla fine della nostra vita ci fosse consentito di dire qualcosa, se fossimo veramente sinceri, canteremmo una canzonetta, come riassunto di tutta un’esistenza”.
Ecco. Credo che Bacilieri non sia di vedute troppo diverse da quelle felliniane. Nel raccontarci la storia (piccola, ignobile e ordinaria) di Tramezzino, shakera un cocktail esplosivo di ritornelli, dalla Vanoni a Tenco, da De Andrè a Mina, da Celentano al Piero Ciampi di Sobborghi. A venirne fuori, è un dissetante e spumeggiante centrifugato nazionalpopolare.
Tramezzino
Soggetto, sceneggiatura, disegni: Paolo Bacilieri
Per raccontare amori così bisogna che si sappia maneggiare una materia spinosa: l’algebra dei sentimenti, ridotti a particelle elementari.
Niente è più complicato della semplificazione. Del passaggio dalle idee iperuraniche all’ABC. Ma solo semplificando una faccenda rognosa e bieca come l’amore si può sperare di arrivare a tutti. Pochi, grandi parolieri della musica italiana hanno mandato a segno il colpo. E nel numero dei benemeriti mi sento di contare anche Paolo Bacilieri, che è stato capace di dimostrare la sua padronanza dell’algebra succitata non solo sul piano narrativo, ma anche su quello visivo: i parolieri hanno le loro voci, i fumettisti le loro immagini. E quelle del nostro, complice la scelta felicissima del formato, giganteggiano a tutta pagina.
La robustezza della carta, poi, è un altro punto di merito, perché offre un supporto solido a queste tavole in cui tutto spazia e largheggia, dall’infinitamente grande all’infinitamente minuto.
La Milano di Bacilieri dà un senso di familiarità, e parla una lingua ben nota a tutti i milanesi oriundi o acquisiti. Come la Milano dei musici, di cui un tale cantava: “Vincenzo dice che sei fredda/ Frenetica e senza pietà/ Ma è cretino e poi vive a Roma/ E che ne sa.” O la Milano dei personaggi inventati. Tipo Daddo, il protagonista di questo piccolo gioiellino, che mi piace immaginare ormai quarantenne, mentre passando davanti a un certo stabile milanese, ricordandosi del profilo greco di Skilla, canticchia a mezza voce: “Dammi indietro la mia seicento/ I miei vent’anni e una ragazza che tu sai”.
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