Tramezzino di Paolo Bacilieri

Scritto da Chiara Cvetaeva

14 Set, 2019

Federico Fellini, fanciullino sempiterno, bamboccione reverendissimo, in una delle ultime interviste rilasciate s’era detto “convinto che se alla fine della nostra vita ci fosse consentito di dire qualcosa, se fossimo veramente sinceri, canteremmo una canzonetta, come riassunto di tutta un’esistenza”.

Ecco. Credo che Bacilieri non sia di vedute troppo diverse da quelle felliniane. Nel raccontarci la storia (piccola, ignobile e ordinaria) di Tramezzino, shakera un cocktail esplosivo di ritornelli, dalla Vanoni a Tenco, da De Andrè a Mina, da Celentano al Piero Ciampi di Sobborghi. A venirne fuori, è un dissetante e spumeggiante centrifugato nazionalpopolare.

 

Tramezzino

Soggetto, sceneggiatura, disegni: Paolo Bacilieri

Tramezzino non può semplicemente piacere. A Tramezzino si vuol bene, come a una canzonetta che ci racconta, con franchezza disarmante, un capitolo di vita vissuta. Un amore inconcludente, dei più barbini, di quelli neanche nati, ma subito espulsi dal cuore attraverso un aborto spontaneo. Di quelli in cui lei, bella di una bellezza un po’ selvatica, può intonare nell’epilogo: “Insieme a te non ci sto più/ Guardo le nuvole lassù/ Cercavo in te la tenerezza che non ho/ La comprensione che non so/ Trovare in questo mondo stupido”, mentre lui, a distanza di anni, quando si riaffaccia il ricordo di lei, simile a una puntura di spillo, può uggiolare sommesso: “Se mai ti parlassero di me/ Chi lo sa se in fondo a te/ Troverai un sorriso per me.”

Per raccontare amori così bisogna che si sappia maneggiare una materia spinosa: l’algebra dei sentimenti, ridotti a particelle elementari.

Niente è più complicato della semplificazione. Del passaggio dalle idee iperuraniche all’ABC. Ma solo semplificando una faccenda rognosa e bieca come l’amore si può sperare di arrivare a tutti. Pochi, grandi parolieri della musica italiana hanno mandato a segno il colpo. E nel numero dei benemeriti mi sento di contare anche Paolo Bacilieri, che è stato capace di dimostrare la sua padronanza dell’algebra succitata non solo sul piano narrativo, ma anche su quello visivo: i parolieri hanno le loro voci, i fumettisti le loro immagini. E quelle del nostro, complice la scelta felicissima del formato, giganteggiano a tutta pagina.

 

L’aspetto merceologico, nel caso di Tramezzino, è quello che con più prepotenza s’impone alla vista: questo mastodontico in-folio, certo inusuale, ha una fattura tale da poter essere considerato come un degno esemplare di fine artigianato tipografico. Di quelli che ti fanno doppiamente apprezzare il libro che hai sotto il naso: non solo perché è un bel libro, ma anche perché l’hanno assemblato mani sapienti. Riconosci, insomma, il valore della manodopera, come davanti a una ceramica di Capodimonte.

La robustezza della carta, poi, è un altro punto di merito, perché offre un supporto solido a queste tavole in cui tutto spazia e largheggia, dall’infinitamente grande all’infinitamente minuto.

 

I conoscitori della difficile “algebra” sopra ricordata sanno come ogni dato, specie il più banale, meriti d’essere risaltato. L’autore lo fa con le parole, lo fa con le immagini, lo fa persino con quel tramezzino che viene elevato alla dignità di titolo, e assiso al trono della copertina.
Un ultimo rilievo bisogna che lo si faccia sull’ambientazione. Per chi vive a Milano e vive Milano, Tramezzino è soprattutto un viaggio sentimentale in luoghi in cui tutto sa di vissuto: dalla fermata metro di Moscova alla bettolaccia per studenti in bolletta gestita dalla “gaddiana” sciura Gina, dal Parco Sempione alla libreria Hoepli [ndr e aggiungo la Torre Velasca che quasi sempre appare in Susy&Merz].

La Milano di Bacilieri dà un senso di familiarità, e parla una lingua ben nota a tutti i milanesi oriundi o acquisiti. Come la Milano dei musici, di cui un tale cantava: “Vincenzo dice che sei fredda/ Frenetica e senza pietà/ Ma è cretino e poi vive a Roma/ E che ne sa.” O la Milano dei personaggi inventati. Tipo Daddo, il protagonista di questo piccolo gioiellino, che mi piace immaginare ormai quarantenne, mentre passando davanti a un certo stabile milanese, ricordandosi del profilo greco di Skilla, canticchia a mezza voce: “Dammi indietro la mia seicento/ I miei vent’anni e una ragazza che tu sai”.

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