Il Commissario Ricciardi – La condanna del sangue (marzo 2018)

Scritto da Chiara Cvetaeva

22 Mar, 2018

L’entusiasmo, per un recensore, è un grave demerito, ma mantenere la dovuta sostenutezza quando ci si ritrova ad argomentare intorno a La condanna del sangue, seconda trasposizione in vignette e balloon dalla fortunata saga poliziesca di Maurizio De Giovanni, costa una certa fatica.
“Le pagine, la parola scritta, sono un’esperienza sensoriale” dichiara Luigi Alfredo Ricciardi in persona nella prefazione. E ha ragione. Partiamo, quindi, dal dato puramente materiale: l’edizione cartonata vale senza dubbio il prezzo di copertina, perché un lavoro redazionale condotto con tale puntiglio, quasi filologico, merita di oggettivarsi in un albo sontuoso, che solo a sfogliare le pagine dia un certo piacere tattile.

 

 

Il Commissario Ricciardi – La condanna del sangue

Soggetto: Maurizio De Giovanni

Sceneggiatura: Sergio Brancato

Disegni: Lucilla Stellato

Parlare di puntiglio filologico può sembrare quasi un’enormità, ma non lo è: non c’è niente di casuale nel fatto che Sergio Brancato e Lucilla Stellato siano entrambi campani. “Ma quella è Napoli vista da Posillipo!” esclama compiaciuta Maria, la mia collega vesuviana con marchio DOP, mentre do una scorsa furtiva ai miei giornalini in orario di lavoro. E in effetti anche la colorazione, così inusuale, in un certo senso fa da spia: ricorda quasi la pellicola di un negativo in bianco e nero. Come se le vedute di Napoli e le fisionomie degli stessi personaggi fossero state fissate e sviluppate in una camera oscura, a riprova di una volontà di esattezza che sta alla fotografia molto più che all’illustrazione.

È in questo che risiede tutta la forza del Ricciardi a fumetti, mi dico io: nel saper conservare e trasmettere la quintessenza della napoletanità, attraverso la penna e le tavole di chi la sa lunga sull’argomento. Ancor prima di raccontarci una storia, il Commissario Ricciardi ci restituisce infatti un’atmosfera: quella che si respirava a Napoli negli anni trenta, ossia nel decennio fascistissimo, quando ogni singolo alito doveva essere attentamente soppesato.  Napoli è una città che può suscitare adorazione o repulsione, ma mai freddezza. Una città che si può amare fino allo spasmo o detestare fino all’orticaria, e proprio per questo condivide la stessa sorte con le donne che hanno troppo carattere per poter provocare nel loro prossimo sentimenti tiepidi.

Napoli è donna, e del pari sono donne tutte le protagoniste de La Condanna del Sangue.
Nessuna meraviglia se l’albo in hard cover è uscito l’8 marzo. Non poteva essere altrimenti.
La stessa ambientazione chiarifica sin da subito la preponderanza del cromosoma X: il delitto su cui il melanconico Ricciardi si trova a dover indagare si consuma nel rione di Mater Dei, e la maternità la fa da protagonista, in tutte le sue tinte, dalla più fosca alla più luminosa. L’uccisa, una cartomante dedita allo strozzinaggio, impersona una maternità sofferta e mancata, che farebbe carte false pur di mettere una pezza a quegli errori di gioventù che seguitano a darle il tormento, a dimostrazione del fatto che non possono esistere cattive madri, ma solo madri inadeguate. La cartomanzia, nel suo caso, camuffa l’usura, ma questo non basta affinché il lettore ne prenda le distanze, riservandole biasimo e orrore: i pezzenti che compiono il male nel sacro nome del pane meritano tutt’al più compassione. Biasimo e orrore no.

 

 

L’altra, complice inconsapevole del misfatto, rappresenta l’ansia di una maternità non ancora compiuta, che guarda all’avvenire ora impavida, ora fremente, ora perplessa, ma sempre e comunque risoluta ad assicurare il meglio alla “criatura”. La terza, la vera vittima, è una vedova bella e fatale, ma ahilei è anche madre, e la bellezza è una benedizione e una condanna, per una donna sola che voglia mandare avanti famiglia e baracca in un mondo di omaccioni bavosi, che le ronzano attorno come api al fiore, mentre la propaganda di regime esalta la possenza del maschio italico e ingiunge alle donne di obbedire, rammendare e figliare. La quarta è una madre straziata, che può dare amore soltanto a una lapide.

 

 

Nell’intreccio – giallistico, ma quasi per caso – queste quattro figure muovono i fili, confezionando un prodotto di finissima sartoria poliziesca, che però sa innescare un meccanismo di identificazione che non ci si aspetterebbe da un giallo, né tantomeno da un fumetto. C’è tanta umanità nella serie del Commissario Ricciardi: da quella lacera, maleodorante e dolente dei rioni a quella benvestita, tirata a lustro e annoiata dei quartieri alti. Tanta umanità, troppa umanità. Ed è bello sapere che l’umanità la si possa trovare davvero dappertutto. Compreso lo scaffale di un’edicola.

 

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