Prigionieri su Yuggoth – Dampyr nn.293-294 (agosto-settembre 2024)

Scritto da Paolo M.G. Maino

13 Set, 2024

Si conclude con un numero bellissimo la doppia storia iniziata ad agosto nell’albo Vacanza nell’ignoto coi disegni di Nicola Genzianella e conclusa in Prigionieri su Yuggoth con l’ausilio di qualche tavola di Majo e Luca Rossi, ovvero tre mostri sacri tra i disegnatori dell’ammazzavampiri di casa Bonelli nello stesso albo guidati dalla sceneggiatura mirabolante di Mauro Boselli. Che volere di più?

Anzi qui lo dichiaro subito a chiare lettere: questa storia e questo secondo albo in particolare è per me la summa di un fumetto popolare che affonda le sue radici nella narrativa popolare di evasione. È un omaggio che Boselli fa ad alcune delle sue passioni come lettore e nello stesso tempo è una grande metafora della forza ideale della fantasia, del valore dei propri sogni e desideri e del potere della narrativa. Tutto questo? Possibile? Provo a spiegarmi! Cominciamo!

Vacanza nell’ignoto e Prigionieri su Yuggoth – Dampyr nn. 293-294

Soggetto e sceneggiatura: Mauro Boselli

Disegni: Nicola Genzianella, Majo e Luca Rossi

Copertine: Enea Riboldi

Nel primo albo Harlan e Kurjak si trovano dal loro amico inglese Timothy O’Brien alla ricerca di tracce di Azara e della sua ricerca dei frammenti del calderone di Dagda. Timothy, che è anche nipote della scrittrice Dolly MacLaine, racconta loro la lunga e complessa vicenda di quattro scrittori di genere sci-fi degli anni quaranta, eredi in qualche modo di Lovecraft, che decidono di andare ad indagare in una zona misteriosa del Nevada dove si dice che ci possano essere strane presenze aliene. Per chi ha buona memoria qui la vicenda reale dei quattro scrittori (due donne e due uomini legati anche sentimentalmente) si lega alla realtà della saga di Dampyr, perché il deserto del Nevada è stato teatro di una sfida all’ultimo sangue con il maestro della notte Ixtlàn attorno ad una misteriosa astronave aliena, tipico oggetto dell’area 51 controllata dall’esercito americano (vedi Dampyr 57-58).

Ma il racconto di Timothy si arresta quando i quattro scrittori del passato vengono rapiti nelle profondità dello spazio siderale (o meglio del multiverso siderale) da Nyarlathotep, il formidabile dio dell’inganno e del sogno del gruppo dei Grandi Antichi della mitologia cthuliana creata da HPL.

 

 

E Nyarlathotep non è certo un nuovo personaggio della saga di Dampyr. Boselli si diverte davvero a inserire queste continue citazioni alla letteratura di genere delle Dime novels americane e alla ormai più che ventennale saga di Dampyr.

Quello che era successo nel 1949 ai quattro scrittori, succede anche a Harlan e Kurjak che vengono rapiti dal Nyarlathotep e apparentemente trasformati in puro spirito privo di corpo: l’unica possibilità per non soffrire eternamente delle pene infernali è quella di concedere al viandante nero di entrare stabilmente nei loro sogni e di consentirgli di lenire la sua solitudine eterna in questo modo.

Questa è la carta che almeno all’inizio i due possono giocare: opporre la loro volontà alle false lusinghe del viandante nero, ma per il resto sono soli (separati tra di loro) e impotenti.

Ma dall’altra parte, nella realtà, gli aiuti non mancano e così vediamo tornare in scena compagni di vita fino a quel momento non presenti (Tesla e Caleb); amici di lunga data (Ryakar e Simon Fane oltre alla già citata Dolly MacLaine); e ovviamente chi già in passato aveva aiutato Harlan a ritornare dalle pieghe del multiverso (Draka senior).  Una task force che non può fallire, ma dovrà dare il meglio di sé per farcela e tutto il gusto di noi lettori è scoprire ‘come’ e non ‘se’.

 

 

Ci sono poi gli inserti onirici affidati a Majo e Luca Rossi che ci rifanno vivere momenti della vita di Harlan e Kurjak e poi c’è… quella metafora di cui vi parlavo ad inizio recensione.

A salvare Harlan e Kurjak è la letteratura stessa: come gli scrittori con la fantasia e il loro legame affettivo hanno sconfitto il solitario viandante nero, così anche Harlan e Kurjak devono affidarsi alle armi della creazione immaginifica e al legame con i loro affetti più sinceri.

La letteratura, la narrativa, il fumetto hanno la forza ogni giorno di offrire al lettore che a loro si accosta un momento sincero di evasione che è però anche rigenerativo di una parte di sé profonda («un fanciullino» direbbe Pascoli) che va nutrita perché resti viva.

Ovviamente tutto questo è detto senza esplicitarlo e senza farci teorie metanarrative. Accade semplicemente, come ci accade di leggere un bel romanzo di fantascienza o horror.

Complimenti poi a tutti e tre i disegnatori che hanno saputo offrire coi loro tratti peculiari sfumature della vita dei nostri personaggi. Sfumature di disegno nel multiverso perché in fin dei conti c’è un Dampyr diverso per ogni disegnatore e solo il narratore (o forse il Narratore) può ricondurre in unità ciò che nell’albo pare diviso. 

 

 

L’impressione è che i tre disegnatori si siano divertiti a farlo, ciascuno a suo modo. Majo ci riporta nell’infanzia di Harlan già in parte intravista nel primo numero della serie da lui disegnato; a Luca Rossi con il suo magico tratto chiaroscurale è affidata un’importante sezione del racconto che porta Harlan e Emil dal buio delle coscienze alla luce del riscatto; Genzianella incardina il tutto con la chiarezza e la finezza del suo tratto che si esalta ulteriormente nelle ambientazioni degli anni 30/40/50 del midwest americano (e anche lui torna a Dreamland dove aveva già disegnato i nostri nella citato storia doppia contro Ixtlan). 

Menzione speciale infine per Enea Riboldi che sforna due copertine da incorniciare!

Una doppia per lettori dai palati fini che sanno gustarsi il senso letterale e il sovrasenso di cui – con anche tanta ironia – è piena questa storia!

Cento, anzi altri trecento di questi Dampyr… ma se anche non saranno così tanti, intanto ci siamo gustati questi e abbiamo percepito fino a dove può arrivare l’eroe dei fumetti: fino al multiverso e oltre!!!

 

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