A ottobre è uscito il nuovo Maxi Tex intitolato Mississippi Ring, un malloppone di 340 pagine contenente una storia inedita e completa firmata da Gianfranco Manfredi al soggetto e alla sceneggiatura e da Massimo Rotundo ai disegni. La coppia, che aveva già collaborato con ottimi risultati su altre serie dello stesso Manfredi, è qui all’esordio su Tex.
Da qualche anno il Maxi Tex è raddoppiato: non più un unico volume autunnale con una storia sola, ma due albi semestrali spesso e volentieri contenenti due storie inedite e complete. Una formula che ha fatto storcere il naso a più di un appassionato, soprattutto se si considera che i Maxi a storia unica sono particolarmente amati dai lettori perché propongono un unico racconto di ampio respiro che si legge come un romanzo.
Ciononostante, già alla fine del 2020 era uscito un bel volume intitolato I tre fratelli Bill scritto da Mauro Boselli e disegnato da Alessandro Piccinelli che aveva riscosso un ottimo successo di pubblico. Dopo l’ormai consueto albo a due storie di aprile, si ritorna di nuovo alla storia unica lunga come tre albi della serie mensile.
Mississippi Ring – Maxi Tex n.29
Soggetto e sceneggiatura: Gianfranco Manfredi
Disegni: Massimo Rotundo
Copertina: Claudio Villa
Tex Willer e Kit Carson ricevono l’incarico dal comando dei rangers di scortare alcuni testimoni al tribunale di Saint Louis per il processo contro il Mississippi Ring, una cricca di trafficanti di whisky che fa affari loschi lungo l’omonimo fiume. Il primo testimone, un carcerato di nome Talbot, viene subito fatto fuori da un misterioso sicario, così ai ranger tocca il compito di prelevare gli altri due, l’ex colonnello Adrian Dickinson dell’esercito dell’Unione e la vedova Gil Evans, per condurli sani e salvi al processo. Il lungo viaggio sarà ostacolato dagli uomini del Mississippi Ring guidati dal misterioso Capitan Destiny.
Inizialmente ero un po’ perplesso per la scelta di dirottare questa storia in un Maxi e francamente non ho la più pallida idea se ciò sia stato dettato da imposizioni redazionali (la necessità di avere un Maxi a storia unica a ottobre) o da aspetti legati alla storia stessa (snodi narrativi disseminati nei punti “sbagliati” per poter essere pubblicata sul mensile), ma devo ammettere che la scelta finale si è rivelata vincente.
Libera dalla gabbia della pubblicazione mensile, questa storia si fa leggere con la scorrevolezza di un romanzo o di un film dalla prima all’ultima pagina mostrando un ottimo bilanciamento fra scene statiche e movimentate. Manfredi realizza un vero e proprio “romanzo sociale nel west”: lungo le centinaia di pagine della storia troviamo battellieri che cercano di sbarcare il lunario, garzoni, fuochisti, operai, giornalisti, avvocati, militari, vedove, uomini d’affari, ranger e criminali. Un vastissimo campionario umano in cui ogni personaggio è calato nella propria realtà sociale e si muove secondo i dettami del suo ruolo. Emblematico è il caso della vedova Evans, rigida donna di ceto medio-alto impegnata in una dura lotta contro il proibizionismo e che agisce per riabilitare la memoria del marito alcolizzato. Oppure il colonnello Dickinson, ex militare che non si è mai tolto la divisa e che continua a credere di trovarsi su un campo di battaglia anche in tempo di pace.
A questo aspetto se ne può agganciare un altro, che riguarda invece tutti i personaggi di contorno: come detto prima, il loro agire è condizionato dallo status sociale e dal rispettivo ambiente. L’effetto collaterale è che essi non evolvono praticamente mai, anzi, il progredire della vicenda li rende sempre più caricaturali. A fare da padrone in questo caso è il colonnello Dickinson che con la sua esaltazione causa indirettamente la morte di un uomo. Inizialmente presentati come stereotipi della narrativa western, i personaggi non si umanizzano con l’evolversi del racconto, ma, al contrario si dis-umanizzano, portando all’estremo il proprio ruolo.
In parte ciò è anche dettato dalla struttura del racconto: la storia in quanto tale è divise in tre grandi atti (ragion per cui mi immaginavo una pubblicazione sul mensile) nel quale oltre ai personaggi principali vi sono un gran numero di comprimari che appaiono e scompaiono nel giro di quel singolo arco narrativo. Alcuni invece hanno l’esordio con il botto, ad esempio il sicario con l’armonica, vero e proprio antagonista della prima parte della vicenda, il quale, una volta avuto il suo momento di gloria nell’economia del racconto viene relegato sullo sfondo e non avrà praticamente nessun ruolo.
Se questi aspetti sono tipici della narrativa di Manfredi e risultano anche i più originali dell’albo, è doveroso menzionare quelli che invece risultano in contrasto con il canone di Tex. E i più macroscopici sono proprio Tex e Carson: duri, durissimi, implacabili, cupi e determinati. Quasi mai un sorriso (ma forse qui è complice lo stile di Rotundo), quasi mai una battuta, anche se le poche presenti sono efficaci. Addirittura in una pagina si può intuire un vago interessa della vedova Evans nei confronti di Carson, ma questi stronca sul nascere ogni possibile approccio affermando di essere sposato con il corpo dei rangers. Atteggiamento che stride con il personaggio del vecchio cammello, da sempre più che sensibile al fascino femminile.
Un altro aspetto poco convincente è il susseguirsi di scene ad effetto sempre più grandi e fragorose nella seconda parte dell’albo come Tex che lancia un carro infuocato contro una barricata (!), lo speronamento di un battello in una paluda in fiamme (!!) e di nuovo Tex che affonda un battello a cannonate (!!!). Un eccesso che non è una novità per la serie, ma così compresso fa pensare più agli spaghetti-western che al western classico di John Ford.
Ottimo il lavoro svolto da Rotundo per tutto la storia: fra moltissimi alti e pochissimi bassi, Rotundo fa immergere il lettore nella vicenda trasportandolo in un mondo fatto di paludi fangose, città luride e decadenti e individui di ogni genere. Il disegno di Rotundo è perfettamente adatto alla narrazione texiana: dettagliato, dinamico ed espressivo, ma sempre attento al rispetto delle regole del racconto per immagini, regole che non vengono mai meno neppure nelle scene più roboanti e spettacolari.
Nel complesso si parla di un buon Maxi Tex che contiene degli elementi atipici per la saga del ranger e che tradiscono la personalità del suo autore. Quest’ultimo aspetto non è da intendersi in senso negativo, semplicemente che questa sia una storia di Manfredi che scrive Tex è palese anche senza leggere i crediti.
Dovessi dare un voto, darei un 8 complessivo: muti, mani al cielo e tutti a casa.
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